Tobin tax alla Corte Ue, primo sì dell'Avvocato generale

31.12.2019
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Riflettori puntati sull'imposta sulle transazioni finanziarie (Itf), meglio nota come Tobin tax. Le conclusioni dell'Avvocato generale presso la Corte Ue
Da sempre di grande interesse per il comparto finanziario, sin dalla sua istituzione nel 2013, è la cosiddetta Tobin tax, ossia l'imposta sulle transazioni finanziarie (Itf). Il prelievo ha ad oggetto il trasferimento di azioni, titoli e in generale strumenti finanziari/valori mobiliari e grava ordinariamente nella misura dello 0,2%.
La sua introduzione e disciplina era da anni nel programma della Commissione europea e si era lungamente lavorato all'istituzione di un tributo armonizzato in seno all'Unione. Tuttavia, in attesa di una convergenza di intenti tra gli stati membri, l'Italia (e la Francia) - sulla scia del sentimento negativo verso il mondo finanziario post crisi 2007 - ha ritenuto necessario l'attuazione di una “propria” Itf. Proprio per questa mancanza di coordinamento internazionale, in un contesto in cui il mercato finanziario globale richiederebbe invece la massima omogeneità dei regimi fiscali nazionali onde evitare disparità di trattamento per i vari player, nella sua giovane storia il tributo ha già posto alcuni dubbi applicativi, soprattutto nelle operazioni transazionali, che hanno generato contenziosi tra il fisco e i contribuenti concernenti in particolare la territorialità e la compatibilità del prelievo con il diritto dell'Unione europea.
In particolare, una di queste tematiche, giunta all'esame della Corte di Giustizia Ue (Causa C-565/18), riguarda l'applicazione della Itf ai contratti derivati stipulati all'estero fra non residenti, prevista qualora il titolo sottostante sia stato emesso da un soggetto residente in Italia. È stato infatti osservato che in tale fattispecie l'imposta, unitamente ai relativi oneri amministrativi e dichiarativi funzionali all'assolvimento della stessa, potrebbe creare una restrizione alla libera prestazione dei servizi, scoraggiando gli operatori di stati diversi dall'Italia dall'investire in strumenti derivati aventi come sottostante titoli italiani, penalizzando l'attività di intermediazione di tali prodotti e disincentivando l'accesso al mercato finanziario italiano.
È dello scorso 28 novembre il deposito delle conclusioni dell'Avvocato generale presso la Corte Ue, secondo il quale l'applicazione della Itf alle operazioni tra non residenti non violerebbe le libertà fondamentali sancite dall'art. 63 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, ossia la libera prestazione di servizi e la circolazione dei capitali. L'Avvocato generale, invero, osserva che in materia fiscale una qualunque misura che possa rendere meno conveniente la libera circolazione non costituisce di per sé una restrizione delle libertà, ma sono illegittime solo quelle disposizioni che, direttamente o indirettamente, comportano un trattamento differenziato per le transazioni transfrontaliere. La disciplina della Itf dunque non comporta alcuna discriminazione tra soggetti europei, in quanto la norma assoggetta al medesimo prelievo tutte le transazioni finanziarie, indipendentemente dal Paese di residenza dei contraenti e dal luogo di conclusione dell'operazione.
Dalle conclusioni, peraltro, emergono tutte le problematiche sopra accennate derivanti dalla mancanza di una disciplina comunitaria della Itf. Non essendovi una direttiva che limiti, armonizzi e coordini in modo uniforme il potere impositivo degli Stati, infatti, ciò che rileva è solo l'impatto del tributo nazionale sul rispetto delle libertà fondamentali. Al di fuori della lesione di tali libertà, non vi è invece modo di eliminare inefficienze causate dall'introduzione del tributo soltanto in alcuni stati membri. Se la Itf italiana prescinde dalla residenza dei contraenti dunque può anche non esservi discriminazione sul piano delle libertà; se tuttavia negli altri Stati lo stesso prelievo non è previsto vi è sicuramente un disincentivo per i non residenti a investire in Italia lesivo del mercato comune, eliminabile solo con l'introduzione e la disciplina (sinora inattuata) della Itf in tutti gli stati membri.
La parola a questo punto va alla corte. La penalizzazione sui derivati con sottostante italiano, per le ragioni suesposte, rischia di non essere risolvibile sulla base dell'attuale quadro normativo Ue. Tuttavia, la Itf, che si inserisce in un contesto internazionale in cui la variabile fiscale incide sulla concorrenza/appetibilità dei prodotti, sarebbe dovuta essere introdotta contestualmente in tutti gli stati. Dunque, l'ordinamento italiano, anche se le conclusioni venissero confermate, dovrebbe farsi carico di tale mancato coordinamento che frena la competitività del mercato finanziario italiano e proteggere il mercato nazionale dalle asimmetrie che si sono prodotte.
In particolare, una di queste tematiche, giunta all'esame della Corte di Giustizia Ue (Causa C-565/18), riguarda l'applicazione della Itf ai contratti derivati stipulati all'estero fra non residenti, prevista qualora il titolo sottostante sia stato emesso da un soggetto residente in Italia. È stato infatti osservato che in tale fattispecie l'imposta, unitamente ai relativi oneri amministrativi e dichiarativi funzionali all'assolvimento della stessa, potrebbe creare una restrizione alla libera prestazione dei servizi, scoraggiando gli operatori di stati diversi dall'Italia dall'investire in strumenti derivati aventi come sottostante titoli italiani, penalizzando l'attività di intermediazione di tali prodotti e disincentivando l'accesso al mercato finanziario italiano.
È dello scorso 28 novembre il deposito delle conclusioni dell'Avvocato generale presso la Corte Ue, secondo il quale l'applicazione della Itf alle operazioni tra non residenti non violerebbe le libertà fondamentali sancite dall'art. 63 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, ossia la libera prestazione di servizi e la circolazione dei capitali. L'Avvocato generale, invero, osserva che in materia fiscale una qualunque misura che possa rendere meno conveniente la libera circolazione non costituisce di per sé una restrizione delle libertà, ma sono illegittime solo quelle disposizioni che, direttamente o indirettamente, comportano un trattamento differenziato per le transazioni transfrontaliere. La disciplina della Itf dunque non comporta alcuna discriminazione tra soggetti europei, in quanto la norma assoggetta al medesimo prelievo tutte le transazioni finanziarie, indipendentemente dal Paese di residenza dei contraenti e dal luogo di conclusione dell'operazione.
Dalle conclusioni, peraltro, emergono tutte le problematiche sopra accennate derivanti dalla mancanza di una disciplina comunitaria della Itf. Non essendovi una direttiva che limiti, armonizzi e coordini in modo uniforme il potere impositivo degli Stati, infatti, ciò che rileva è solo l'impatto del tributo nazionale sul rispetto delle libertà fondamentali. Al di fuori della lesione di tali libertà, non vi è invece modo di eliminare inefficienze causate dall'introduzione del tributo soltanto in alcuni stati membri. Se la Itf italiana prescinde dalla residenza dei contraenti dunque può anche non esservi discriminazione sul piano delle libertà; se tuttavia negli altri Stati lo stesso prelievo non è previsto vi è sicuramente un disincentivo per i non residenti a investire in Italia lesivo del mercato comune, eliminabile solo con l'introduzione e la disciplina (sinora inattuata) della Itf in tutti gli stati membri.
La parola a questo punto va alla corte. La penalizzazione sui derivati con sottostante italiano, per le ragioni suesposte, rischia di non essere risolvibile sulla base dell'attuale quadro normativo Ue. Tuttavia, la Itf, che si inserisce in un contesto internazionale in cui la variabile fiscale incide sulla concorrenza/appetibilità dei prodotti, sarebbe dovuta essere introdotta contestualmente in tutti gli stati. Dunque, l'ordinamento italiano, anche se le conclusioni venissero confermate, dovrebbe farsi carico di tale mancato coordinamento che frena la competitività del mercato finanziario italiano e proteggere il mercato nazionale dalle asimmetrie che si sono prodotte.