Il trattamento fiscale del lavoratore distaccato all’estero

Nicola Dimitri
14.9.2023
Tempo di lettura: 3'
Il reddito di lavoro dipendente prestato all'estero, in via continuativa, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto

Il requisito della continuità dell’attività lavorativa prestata all’estero deve avere carattere di permanenza o di sufficiente stabilità

Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all'estero, il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo

Con una recente risposta a interpello, n. 428 del 2023, l’Agenzia delle entrate fa il punto sul trattamento fiscale applicabile alla retribuzione erogata al lavoratore distaccato all’estero.

Nel caso di specie, l’istante (una società italiana) fa sapere all’Agenzia che il dipendente è stato distaccato in Germania con il ruolo di Ceo (Chief executive officer) presso la consociata estera.

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Trattamento fiscale

L’Agenzia mette subito in evidenza che il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministero per le politiche sociali.

Le retribuzioni  sono  fissate  entro  il  31  gennaio  di  ogni  anno  e  sono  determinate  con riferimento  e  comunque  in  misura  non  inferiore  al  trattamento  economico  minimo previsto dai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori omogenei.

Come puntualmente spiegato dall’Agenzia, il citato suindicato criterio  di  determinazione  del  reddito si  rivolge a  quei lavoratori che, pur svolgendo l'attività lavorativa all'estero, continuano ad essere qualificati come  residenti fiscali in Italia. Ciò comporta che il reddito derivante dal lavoro dipendente prestato all'estero è assoggettato a tassazione assumendo  come  base  imponibile  la  retribuzione  convenzionale  fissata  dal  predetto  decreto  del  Ministero  del  lavoro  e  delle  Politiche  Sociali,  senza  tener  conto  della  retribuzione  effettivamente corrisposta al lavoratore.

Ciò considerato, quanto sopra trova applicazione a condizione che:

  • il lavoratore, operante all'estero, sia inquadrato in una delle categorie per  le quali il decreto del citato Ministero fissa la retribuzione convenzionale
  • l'attività lavorativa sia svolta all'estero con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità
  • l'attività lavorativa  svolta all'estero costituisca l'oggetto esclusivo  del rapporto di lavoro e, pertanto, l'esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente svolta all'estero
  • il lavoratore nell'arco di dodici mesi soggiorni nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.


Le condizioni per rendere applicabile la disciplina

Affinché operi la disciplina in commento, è necessario che venga stipulato uno specifico contratto che preveda l'esecuzione della prestazione all'estero come oggetto  esclusivo del rapporto di lavoro e che il dipendente venga collocato in un speciale ruolo  estero (collocazione non necessaria quando il rapporto di lavoro è instaurato direttamente  con una società estera).

Inoltre, è bene specificare che è necessario che l'esecuzione della  prestazione lavorativa deve essere integralmente svolta all'estero.

Di conseguenza, non si applica, ad esempio, ai dipendenti in trasferta all'estero, in  quanto manca il requisito della continuità ed esclusività dell'attività lavorativa all'estero,  derivante da un contratto specifico. E il requisito della continuità deve avere carattere di permanenza o di sufficiente stabilità.

Inoltre, per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all'estero, il periodo da considerare non  necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente, infatti, che il lavoratore presti la propria opera all'estero per più di 183 giorni nell'arco di dodici mesi. Il Legislatore,  infatti,  con  l'espressione  «nell'arco di dodici mesi»  non  ha  inteso  far  riferimento  al  periodo d'imposta, ma alla permanenza del lavoratore all'estero stabilita nello specifico  contratto di lavoro, che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari.

Infine, si segnala che per l'effettivo conteggio dei giorni di permanenza del lavoratore all'estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni, il periodo di ferie, le festività, i riposi  settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.

Redattore e coordinatore dell'area Fiscal & Legal di We Wealth. In precedenza ha lavorato nell'ambito del diritto tributario e della fiscalità internazionale presso primari studi legali

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