Il mercato dell’arte ha assunto nell’ultimo decennio dimensioni enormi in termini di volumi e di prezzi, coinvolgendo istituzioni, collezionisti, grandi investitori, organizzazioni finanziarie e privati. Come tutti i settori caratterizzati da importanti movimentazioni di denaro anche quello del mondo dell’arte ha finito per attrarre l’interesse della criminalità organizzata per la quale le opere d’arte rappresentano un bene “rifiugio” che non si deprezza.
Ma soprattutto le opere d’arte rappresentano un agile mezzo di pagamento e finiscono per conferire potere e finanche prestigio sociale. Le organizzazioni criminali si sono avvicinate al mercato dell’arte per riciclare i proventi illeciti o convogliare le proprie risorse su beni generalmente facilmente trasportabili, comodamente occultabili, nonché in grado di celare la capacità contributiva, ma soprattutto in grado di agevolare la circolazione della ricchezza senza lasciare traccia, dando vita a fenomeni di riciclaggio o autoriciclaggio.
In tale contesto, ha assunto un ruolo determinante la
collaborazione degli operatori del settore. Il contante nel commercio di beni culturali e di opere d’arte rappresenta oggi, insieme alle criptovalute e alle carte prepagate anonime, l’
anello debole nella lotta all’antiriciclaggio ed anche all’antiterrorismo. Infatti, una delle principali fonti di finanziamento del terrorismo è stata individuata proprio nel commercio di antichità e opere d’arte, proprio per questo il legislatore europeo con la direttiva 2018/843/Ue ha inteso definire gli obblighi a carico dei soggetti che esercitano l’attività di case d’asta, gallerie d’arte o il commercio di cose antiche e di pregio, ovvero nei confronti di chi agisce in qualità di intermediario nel commercio delle stesse, nonché coloro che conservano le opere d’arte (case di sicurezza, istituti finanziari, ecc.).
Su tali considerazioni si innesta il tema dei porti franchi, rispetto al quale nel tempo il tema oggetto di questa analisi ha assunto sempre maggior rilievo. Infatti, pur rientrando all’interno del territorio doganale dello Stato membro, le zone franche sono sottratte al regime doganale ordinario per effetto una fictio legale di extraterritorialità. Si ha pertanto un porto franco quando l’area di riferimento è considerata posta al di fuori della linea doganale ed è assoggettata a uno speciale regime di franchigia grazie al quale tutte le operazioni inerenti al traffico commerciale sono esenti da dazi e dal regime di formalità e di sorveglianza ordinariamente applicabile nell’ambito del territorio doganale. Nell’ambito della lotta al riciclaggio l’iniziale mancata previsione dei porti franchi tra i destinatari degli obblighi antiriciclaggio ha rappresentato un vulnus al sistema di prevenzione in quanto le opere d’arte potevano, all’intero delle zone franche, essere comperate, rivendute più volte, senza mai uscire dai depositi, potendo così favorire operazioni di riciclaggio.
La direttiva Ue sopra citata ha inteso estendere gli obblighi antiriciclaggio anche ai porti franchi. Occorre però ricordare che il diritto unionale investe soltanto gli Stati membri dell’Ue, con la conseguenza che nei confronti di altri Stati, ad esempio la Svizzera, la direttiva non esplica i propri effetti. Infatti, l’attività dei porti franchi in Svizzera non è coperta dalla legislazione antiriciclaggio, fermo restando tuttavia che gli intermediari finanziari, i cui clienti utilizzano i servizi di un porto franco, sono soggetti agli obblighi di adeguata verifica e diligenza dal momento in cui passano attraverso un intermediario finanziario domiciliato in Svizzera.
Il mercato dell’arte ha assunto nell’ultimo decennio dimensioni enormi in termini di volumi e di prezzi, coinvolgendo istituzioni, collezionisti, grandi investitori, organizzazioni finanziarie e privati. Come tutti i settori caratterizzati da importanti movimentazioni di denaro anche quello del mon…