I contratti di investimento finanziario e i controlli sostanziali

La necessità del rispetto della funzione concreta richiede una valutazione dell’idoneità - non solo astratta, ma anche concreta - dei contratti a soddisfare le esigenze reddituali dei clienti. I risultanti reddituali possono non essere raggiunti e addirittura possono realizzarsi i rischi: questa è una caratteristica essenziale dei contratti di investimento finanziario, in cui il rischio è ineliminabile e si posiziona in capo al cliente, ma lo è proprio e solo in quanto a monte i titoli sono di proprietà del cliente, il quale deve quindi correre i rischi delle operazioni, ma a fronte evidentemente della fruizione da parte sua dei vantaggi.
Ebbene, è così assolutamente necessario, anzi indefettibile, che le possibilità di ottenere i vantaggi, divisati in contratto, siano effettive, non solo in astratto, ma anche in concreto, e così che la causa contrattuale sia suscettibile di realizzazione. Che poi non venga raggiunta per alee dei mercati è altro discorso, come detto del tutto normale e inevitabile.
Il nodo vero è come tale principio fondamentale si traduca, nel concreto. Così, in primo luogo, negli investimenti obbligazionari e monetari, i tassi devono essere di importo tale da sopravanzare i costi dell’intermediario e le possibilità negative circoscritte ai rischi di insolvenza dell’emittente.
Negli investimenti azionari, in secondo luogo, si preme che l’elevata volatilità (elemento essenziale dei mercati dei titoli relativi al rischio di impresa - in cui la ricerca del profitto, con tendenze alla sua massimizzazione che non raramente diventano inarrestabili, comporta dinamismo e innovazione e così incertezze continue) sia ineliminabile, in qualunque modello economico-sociale, a pena di bloccare lo sviluppo (economico).
Ciò premesso, la volatilità deve essere controllata, in modo da rispondere a criteri propri di un filtro selettivo professionale di verifica dei rischi (da parte dell’intermediario), evitando accuratamente di trasformarsi in speculazione pura, in cui i singoli titoli siano scelti in virtù di (adesione acritica a indicazioni estemporanee dei mercati, in assenza di una valutazione completa delle loro caratteristiche.
In terzo luogo, infine, negli investimenti speculativi, strutturati e complessi la ripartizione dei rischi e dei vantaggi deve essere priva di profili di irrazionalità e di natura abusiva.
In sintesi, il punto chiave è che il controllo sulla liceità della causa sia strettamente e in via indefettibile collegato alla sua realizzabilità: infatti, nei contratti di investimento finanziario, il profilo economico acquisisce – alla luce del valore costituzionale del risparmio - un ruolo fondamentale, che non si sostituisce a quello giuridico, come invece da più parti in via frettolosa si lamenta, ma lo qualifica e lo vivifica, assicurando che le esigenze e gli intenti soggettivi delle parti, e anche le loro più profonde volontà, in tanto siano rilevanti solo in quanto tali da tradursi in assetti economico-sociali effettivi.
La tutela dei risparmiatori non può essere fatta confluire in quella generale del consumatore o della parte contrattuale più debole, in quanto, in un’ottica opposta, consiste nella valorizzazione di un fattore economico decisivo per l’economia. La mancata salvaguardia di tale fattore economico decisivo significherebbe addirittura la penalizzazione dell’intera economia.
Per tale ragione, non si concorda con quella autorevole teoria secondo cui l’essenza dei contratti di investimento finanziario, quali rientranti nella categoria dei contratti di cooperazione, è quella di realizzare l’interesse del cliente: è un approccio corretto, ma parziale e generico.
I contratti di investimento finanziario non sono solo meri contratti di cooperazione, ma, in termini ben più pregnanti e specifici, sono contratti gestori, con cui l’intermediario compie atti propri del cliente, curando direttamente il patrimonio di questi.
La cooperazione è solo un momento di una prestazione ben più complessa e pertanto essa è finalizzata ad affidare all’intermediario la gestione del patrimonio del cliente e così la sua valorizzazione in modo ottimale.
Nelle attività compiute, in tale ambito gestorio, dall’intermediario per conto proprio (negoziazione per conto proprio - nonché, pure se l’interpretazione dominante rifiuta l’accostamento tra le due fattispecie- collocamento con obbligo di garanzia o anche di acquisto fermo, cui va assimilato il collocamento anche senza gli obblighi appena citati, essendo sempre nell’interesse degli emittenti e su loro incarico), vi è un conflitto di interessi dell’intermediario tra quello del cliente e quello proprio o dell’emittente. Tale conflitto, molto delicato quando i titoli non sono negoziati in mercati regolamentati, (soli) in cui vi sono prezzi ufficiali e facilità di smobilizzo, non può essere risolto penalizzando l’interesse dell’intermediario e degli emittenti, a pena di entrare altrimenti in un’ottica anti-economica, né con un contemperamento tra i contrapposti interessi, nel qual caso si resterebbe in un’ottica generica che nel concreto - all’esatto contrario della soluzione precedente - nient’altro significherebbe che accettazione del sacrificio del cliente, semplicemente ristretto nell’ambito del ragionevole.
Invece, la risoluzione del conflitto va raggiunta mediante inibizione di ogni interesse dell’intermediario e di soggetti collegati che si ponga in contrasto con la valorizzazione ottimale del patrimonio del cliente. A mo’ di conseguenza indefettibile, la tutela del risparmiatore nei contratti di investimento è frutto non di una disciplina eccezionale rispetto a principi e alle norme generali, ma di una congrua applicazione di questi ultimi alla realtà del risparmio. Ebbene, alcuni suoi aspetti possono – anzi devono - essere applicati in altre materie, dove il profilo economico – da valorizzare sempre per vivificare quello giuridico - richiede la valorizzazione di interessi - ivi presenti - dal valore costituzionale.