Il 22 dicembre 2022 è stata pubblicata, nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, la direttiva (Ue) 2022/2523 in materia di tassazione minima globale (global minimum tax), intesa a garantire un livello di tassazione effettiva minima (pari ad almeno il 15%) dei gruppi con ricavi complessivi superiori a 750 milioni di euro annui, al fine di limitare le politiche di concorrenza fiscale sleale delle giurisdizioni.
La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2023, per applicarsi a partire dal 1° gennaio del 2024.
L’adozione della direttiva ha enorme portata e rilevanza storica. Alla luce di quanto precede, con il presente contributo ne richiameremo brevemente i caratteri essenziali e il contesto storico-politico di maturazione.
La global minimum tax: cenni
La direttiva si applica ai gruppi di imprese con fatturato annuo di (almeno) 750 milioni di euro (con esclusione di enti politici, fondi d’investimento, fondi pensione ed enti no-profit), di cui viene previsto un livello di tassazione minima effettiva in relazione alle imposte sul reddito e sul patrimonio.
Dal punto di vista del funzionamento, l’applicazione della global minimum tax si identifica nella cosiddetta «Globe anti-base erosion (Globe) rule», la quale, a sua volta, si basa su due regole.
La prima regola, operante in via prioritaria, è quella della tassazione suppletiva nello Stato della controllante: in base a tale regola, in caso di tassazione locale inferiore al 15% (e cioè, laddove le controllate di una determinata giurisdizione beneficino di un livello effettivo di tassazione inferiore alla predetta percentuale), la controllante dovrà prelevare e versare nel proprio Stato un’imposta integrativa, cosiddetta «Top-up tax» (regola dell’inclusione del reddito della partecipata in quello della controllante, ossia «Income inclusion rule-Iir»).
La seconda regola, applicabile in via suppletiva (ad esempio, in caso di basso livello di tassazione nella giurisdizione della controllante o laddove lo Stato di quest’ultima non abbia implementato la global minimum tax), è quella della tassazione suppletiva nello Stato della controllata e si traduce nel diritto, di quest’ultimo Stato, di negare la deduzione di pagamenti infragruppo o di imporre ritenute alla fonte sui pagamenti infragruppo, così da “innalzare” il livello di tassazione effettiva della subsidiary («Undertaxed payments rule-Utpr»). L’entrata in vigore dell’Utpr, peraltro, è prevista (solo) per il 2025.
Estremamente rilevante e interessante, infine, è quanto previsto dalla Direttiva con riferimento alla possibilità, per gli Stati membri, di “reagire” alla «Income inclusion rule-Iir», introducendo un’«imposta integrativa domestica»: al fine di preservare la propria sovranità, infatti, uno Stato membro può optare per l’applicazione dell’imposta integrativa a livello nazionale (innalzando quindi il livello di tassazione delle controllate ivi residenti) anziché lasciare che la tassazione suppletiva sia riscossa dallo Stato della controllante. Quando si esercita tale scelta, la controllante che applica l’Iir sarà tenuta a concedere un credito per l’imposta integrativa domestica applicata in relazione alla giurisdizione interessata.
Dal “progetto Beps” alla “Two-pillar solution”
La direttiva attua, a livello europeo, l’accordo politico raggiunto il 30 ottobre 2021 dal G20, sull’introduzione di una tassazione minima globale del 15% a carico dei gruppi multinazionali di maggiori dimensioni, finalizzata a scoraggiare la concorrenza fiscale sleale tra gli Stati.
In proposito, infatti, si ricorda brevemente che il tema delle pratiche fiscali aggressive attuabili su scala globale è stato affrontato in modo esplicito per la prima volta nel 2012, quando i leader intervenuti nel Summit G20 del Messico si sono impegnati «to prevent base erosion and profit shifting» e cioè a prevenire le pratiche fiscali aggressive di erosione della base imponibile e di trasferimento dei profitti. Tali manovre fiscali aggressive, infatti, sfruttando le lacune e le discrepanze tra i diversi sistemi fiscali attualmente esistenti, costano dai 100 ai 240 miliardi di dollari di mancati introiti all’anno (pari al 4-10% del gettito globale dell’imposta sul reddito delle società) e danneggiano in modo particolare i Paesi in via di sviluppo.
Con il G20 dei ministri delle Finanze del 5-6 novembre 2012, tale impegno si è tradotto in un mandato esplicito all’Ocse ad approfondire il tema, cui hanno fatto seguito:
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- (i) la presentazione, da parte dell’Ocse, del rapporto “Action plan on base erosion and profit shifting” (G20 di Mosca, 2013),
- ii) l’approvazione, da parte dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche centrali, del progetto congiunto Ocse-G20, cosiddetto “Progetto Beps” (G20 di Lima, 2015),
- (iii) la costituzione dell’«Inclusive framework on Beps» (2016), cui hanno progressivamente aderito 141 Paesi.
Nel contesto del Progetto Beps, attenzione particolare è stata sin da subito riservata all’analisi delle sfide fiscali poste dall’economia digitale (“Action 1”), per far fronte alle quali l’«Inclusive framework» ha individuato due tipi di interventi congiunti:
- il “Pillar one”, concernente l’adozione di nuovi principi e criteri di collegamento che, indipendentemente dalla presenza fisica di una multinazionale in un determinato mercato, consentano di tassare i profitti generati in quello stesso mercato (similmente a quanto avviene con le imposte sui servizi digitali recentemente introdotte in alcuni Paesi, tra i quali l’Italia);
- il “Pillar two”, coincidente con la «Global anti base erosion (Globe) Rule», finalizzato a introdurre un livello minimo accettabile di tassazione dei redditi d’impresa sul piano internazionale (e cioè una minimum tax globale, appunto) che, se non rispettato da un Paese, consente a un altro Stato di intervenire, integrando o sostituendo la relativa funzione impositiva fino a concorrenza del minimo stabilito.
Conclusioni
Con la formale adozione della direttiva, pertanto, l’Europa ha dato attuazione al “Pillar two”, imprimendo così un’accelerazione al processo di convergenza verso l’implementazione della global minimum tax da parte dei Paesi aderenti all’Inclusive Framework, atteso che questi ultimi saranno indotti a evitare che i vantaggi fiscali concessi nella propria legislazione determinino recuperi di tassazione da parte di un’altra giurisdizione (quella della casa-madre del gruppo multinazionale, come detto).
L’adozione della direttiva, quindi, pur implicando indubbiamente degli elevati costi di compliance, costituisce un passo concreto verso la progressiva armonizzazione delle imposte sul reddito applicabili nelle diverse giurisdizioni.