Decreto Cura Italia e imprese: una moratoria per le pmi

25.3.2020
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Quella “piccola” dimenticanza che rischia di affievolire gli effetti della moratoria del Decreto Cura Italia per le pmi
Il Dl n. 18 del 17 marzo 2020 ha introdotto per le pmi la possibilità di accedere a una moratoria ex lege fino al 30 settembre 2020 per tutti i finanziamenti in scadenza entro quella data o per le rate di ammortamento dovute entro tale termine semplicemente autocertificando di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione del covid-19.
Una opportunità molto importante per le tante imprese che rientrino nella categoria di microimprese, piccole e medie imprese indicata dalla Raccomandazione della Commissione europea n.2003/361/CE del 6 maggio 2003.
Una opportunità che però rischia di essere insufficiente per una evidente mancanza nel testo della norma. Il decreto infatti nulla dice in merito alla possibilità delle banche e degli intermediari finanziari di avvalersi dei rimedi contrattuali che abbiano come conseguenza quella di dichiarare la decadenza dal beneficio del termine del debitore a fronte di inadempimenti o eventi rilevanti diversi dal mancato pagamento. Se infatti il problema della potenziale insolvenza è gestito dalla moratoria ed è quindi sospeso qualsiasi ricorso a ipotesi di inadempimento connesse al mancato pagamento, tutti gli altri obblighi e adempimenti contrattuali sembrano rimanere in vigore e con essi la possibilità dei creditori di invocarne la ricorrenza, salva la possibilità del debitore di provare l'impossibilità (temporanea) nell'adempimento o la forza maggiore, prova diabolica in quanto la mancata esecuzione dovrà essere conseguenza diretta del ricorrere dell'emergenza sanitaria.
Poichè i contratti di finanziamento contengono principalmente tutele a favore dei creditori e concedono ben poche eccezioni ai debitori (prima tra tutte la clausola, molto diffusa nella contrattualistica finanziaria, del solve et repete, ossia l'obbligo del debitore di procedere all'adempimento e solo in secondo luogo di proporre le eventuali eccezioni nelle opportune sedi), gli istituti finanziari avrebbero non poche armi per invocare il ricorrere di qualche circostanza diversa dal mancato adempimento in violazione di differenti obblighi contrattuali.
Una tra tutte, ad esempio, lo sforamento dei parametri finanziari: laddove infatti nel contratto fossero inseriti obblighi di rispetto di vincoli finanziari legati al rapporto tra indebitamento finanziario e marginalità (ebitda), aziende che abbiano subito una interruzione o sospensione dell'attività in conseguenza della contingente emergenza sanitaria potrebbero incorrere in violazioni alle prossime date di verifica. Questa circostanza normalmente legittima i credtori a esercitare il recesso dal contratto di finanziamento richiedendo la restituzione di tutti gli importi erogati oltre agli interessi. Tale esercizio di un diritto contrattualmente legittimo, sarebbe però in evidente contrasto con la ratio della norma straordinaria introdotta dal Decreto Cura Italia che è diretta a garantire alle aziende in difficoltà il mantenimento delle risorse finanziarie necessarie per la prosecuzione dell'attività, non solo durante l'attuale periodo di lockdown ma auspicabilmente anche dopo, per il tempo necessario a ripristinare la normale operatività e i precedenti flussi di cassa.
Allo stesso modo sembrerebbe illegittimo da parte delle banche e in contrasto con l'intenzione del legislatore, il rifiuto di erogare linee di credito accordate contrattualmente e sottoposte alle usuali condizioni sospensive tra cui, ad esempio, l'assenza di effetti sostanzialmente pregiudizievoli (le cosiddette clausole di material adverse change - Mac). In tal caso, allo stesso modo, le banche invocando la sussistenza della Mac potrebbero rifiutarsi di procedere a erogare linee a sostegno del circolante, risorse essenziali in un momento di scarsa liquidità come quello attuale.
L'intervento d'urgenza attuato dall'esecutivo appare quindi non esaustivo sotto diversi profili e potenzialmente non del tutto idoneo a evitare che l'attuale crisi sanitaria si trasformi anche in una crisi di liquidità per tutto il sistema.
Una opportunità che però rischia di essere insufficiente per una evidente mancanza nel testo della norma. Il decreto infatti nulla dice in merito alla possibilità delle banche e degli intermediari finanziari di avvalersi dei rimedi contrattuali che abbiano come conseguenza quella di dichiarare la decadenza dal beneficio del termine del debitore a fronte di inadempimenti o eventi rilevanti diversi dal mancato pagamento. Se infatti il problema della potenziale insolvenza è gestito dalla moratoria ed è quindi sospeso qualsiasi ricorso a ipotesi di inadempimento connesse al mancato pagamento, tutti gli altri obblighi e adempimenti contrattuali sembrano rimanere in vigore e con essi la possibilità dei creditori di invocarne la ricorrenza, salva la possibilità del debitore di provare l'impossibilità (temporanea) nell'adempimento o la forza maggiore, prova diabolica in quanto la mancata esecuzione dovrà essere conseguenza diretta del ricorrere dell'emergenza sanitaria.
Poichè i contratti di finanziamento contengono principalmente tutele a favore dei creditori e concedono ben poche eccezioni ai debitori (prima tra tutte la clausola, molto diffusa nella contrattualistica finanziaria, del solve et repete, ossia l'obbligo del debitore di procedere all'adempimento e solo in secondo luogo di proporre le eventuali eccezioni nelle opportune sedi), gli istituti finanziari avrebbero non poche armi per invocare il ricorrere di qualche circostanza diversa dal mancato adempimento in violazione di differenti obblighi contrattuali.
Una tra tutte, ad esempio, lo sforamento dei parametri finanziari: laddove infatti nel contratto fossero inseriti obblighi di rispetto di vincoli finanziari legati al rapporto tra indebitamento finanziario e marginalità (ebitda), aziende che abbiano subito una interruzione o sospensione dell'attività in conseguenza della contingente emergenza sanitaria potrebbero incorrere in violazioni alle prossime date di verifica. Questa circostanza normalmente legittima i credtori a esercitare il recesso dal contratto di finanziamento richiedendo la restituzione di tutti gli importi erogati oltre agli interessi. Tale esercizio di un diritto contrattualmente legittimo, sarebbe però in evidente contrasto con la ratio della norma straordinaria introdotta dal Decreto Cura Italia che è diretta a garantire alle aziende in difficoltà il mantenimento delle risorse finanziarie necessarie per la prosecuzione dell'attività, non solo durante l'attuale periodo di lockdown ma auspicabilmente anche dopo, per il tempo necessario a ripristinare la normale operatività e i precedenti flussi di cassa.
Allo stesso modo sembrerebbe illegittimo da parte delle banche e in contrasto con l'intenzione del legislatore, il rifiuto di erogare linee di credito accordate contrattualmente e sottoposte alle usuali condizioni sospensive tra cui, ad esempio, l'assenza di effetti sostanzialmente pregiudizievoli (le cosiddette clausole di material adverse change - Mac). In tal caso, allo stesso modo, le banche invocando la sussistenza della Mac potrebbero rifiutarsi di procedere a erogare linee a sostegno del circolante, risorse essenziali in un momento di scarsa liquidità come quello attuale.
L'intervento d'urgenza attuato dall'esecutivo appare quindi non esaustivo sotto diversi profili e potenzialmente non del tutto idoneo a evitare che l'attuale crisi sanitaria si trasformi anche in una crisi di liquidità per tutto il sistema.