La circostanza che la partita Iva rimanga attiva anche dopo la morte del titolare non permette di considerare come ancora in corso l’attività lavorativa dallo stesso svolta in vita
Il decesso del professionista determina la cessazione dell’attività e, pertanto, preclude l’accesso al contributo a fondo perduto stanziato dal decreto Sostegni, in quanto detto decreto richiede – come condizione essenziale – lo svolgimento in corso dell’attività lavorativa
In effetti, uno dei requisiti inderogabili previsti dalla norma che governa l’erogazione del contributo a fondo perduto, stanziato per sostenere economicamente gli operatori colpiti dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, è che la relativa attività professionale per la quale si chiede sostegno economico sia in corso; dunque non risulti cessata.
Il fatto che la chiusura della partita Iva non sia contestuale alla morte del titolare della stessa non è sufficiente per affermare che l’attività lavorativa non sia cessata: il perdurare dell’apertura della partita Iva, infatti, non presuppone lo svolgimento di una attività professionale in corso, ma risponde all’esigenza di riscuotere compensi relativi a prestazioni professionali già fornite in precedenza. Meglio ancora, risponde alla finalità di regolare i flussi economici di attività già svolte e concluse, per tutelare il gettito erariale ai fini dell’Iva.
Altrimenti detto, l’evento morte interrompe ogni attività lavorativa e ciò comporta l’impossibilità di beneficiare del contributo a fondo perduto, il quale – come previsto dall’articolo 1, comma 2, del DL n. 41 del 2021 (decreto Sostegni) – è riconosciuto al professionista solo nella misura in cui svolga l’attività lavorativa.
Inoltre, conclude l’Agenzia, già nelle specifiche tecniche per la predisposizione e trasmissione telematica delle istanze per il riconoscimento del contributo a fondo perduto viene chiarito che il soggetto richiedente non deve risultare deceduto (se persona fisica) alla data di presentazione dell’istanza.