Portafoglio titoli: come ottimizzarlo fiscalmente

Marco Sandoli, Francesco Murgo
9.5.2023
Tempo di lettura: 3'
Le novità introdotte dalla legge di Bilancio del 2023 sulla rivalutazione e sull'affrancamento dei titoli. Di cosa si tratta?

Come di consueto, la manovra finanziaria 2023 ha riproposto l’apertura dei termini per allineare il costo fiscale di determinate attività che danno luogo a redditi di natura finanziaria al rispettivo valore corrente. Ciò consente, da un lato, all’Erario di anticipare il gettito su redditi ancora in corso di maturazione e, dall’altro, al contribuente di ridurre (auspicabilmente) il carico impositivo che sarà dovuto su tali redditi al momento del loro definitivo realizzo. Tuttavia, la legge n. 197/2022 (cosiddetta legge di Bilancio 2023), a differenza delle precedenti edizioni, ha introdotto alcuni importanti elementi di novità, ricomprendendo nel novero delle attività finanziarie “rivalutabili” anche le quote di fondi comuni d’investimento e le partecipazioni in società quotate. Gli investitori si ritrovano dunque a dover operare valutazioni di convenienza economica per comprendere come poter beneficiare al meglio di tali disposizioni in relazione alla composizione del proprio portafoglio titoli.
Deve comunque rilevarsi che, ad oggi, mancano ancora i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate su tali novità normativa, oltre ai codici tributo necessari per eseguire i versamenti d’imposta. 


Affrancamento di quote di fondi comuni d’investimento 

Con l’art. 1, commi 112 – 113, la legge di Bilancio 2023 ha previsto la facoltà di “affrancare” i redditi finanziari derivanti da cessione, rimborso, liquidazione, conversione (cosiddetto switch da un comparto all’altro dello stesso fondo) o altri eventi assimilati (ad esempio, trasferimento ad altro rapporto intestato a soggetto diverso da quello di provenienza), di azioni o quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr, più comunemente detti fondi comuni di investimento), maturati alla data del 31 dicembre 2022. 

Possono avvalersi dell’affrancamento le persone fisiche non operanti nell’esercizio di impresa, gli enti non commerciali, le società semplici, i soggetti non residenti qualora non beneficino dell’esenzione da ritenuta alla fonte o di riduzioni convenzionali che rendano non conveniente l’affrancamento. 

L’affrancamento è consentito sostanzialmente per tutte le tipologie di fondi comuni d’investimento, aperti o chiusi, mobiliari (compresi Etf) e immobiliari, istituiti sia nella Ue che in Stati extra-Ue, dunque anche i fondi soggetti a tassazione Irpef progressiva come i fondi Us e Uk. 
Dovrebbero, invece, restare esclusi i fondi immobiliari detenuti da investitori non istituzionali che possedevano al 31 dicembre 2022 una quota superiore al 5% (Circolare Assogestioni 13/23/C del 20 febbraio 2023). L’affrancamento dovrebbe inoltre rilevare anche per i proventi distribuiti in costanza di partecipazione, ad esempio da parte dei fondi chiusi (private equity, private debt, venture capital).

L’affrancamento presuppone il versamento di un’imposta sostitutiva pari al 14%, da calcolarsi sul differenziale tra il valore della quota del fondo alla data del 31 dicembre 2022 e il costo o valore di acquisto o sottoscrizione fiscalmente riconosciuto.

Essendo l’imposta sostitutiva (a differenza di quanto si vedrà per la rivalutazione delle partecipazioni) dovuta solamente sul valore differenziale, l’affrancamento consente di conseguire un tax saving pari al 12%, corrispondente alla differenza tra l’imposta ordinariamente dovuta sui redditi finanziari (26%) e l’imposta sostitutiva (14%), con un beneficio ancora maggiore nel caso di Oicr extra Eu soggetti a tassazione con Irpef progressiva (43% più addizionali locali). 

Nella valutazione di convenienza fiscale dovrebbe comunque considerarsi anche il valore del fondo al momento in cui si decide di esercitare l’opzione, nonché l’aspettativa sul suo valore al momento del riscatto. Così, ad esempio, se il valore di carico del fondo fosse pari a 1.000 d il suo valore al 31 dicembre 2022 fosse pari a 1.200, ma al momento di esercizio dell’opzione il valore fosse sceso a 1.000, l’esercizio dell’opzione in principio sarebbe non conveniente se l’investitore riscattasse il fondo a 1.000 (in tal caso avrebbe infatti pagato inutilmente il 14% su 200), ma potrebbe comunque risultare conveniente se invece l’investitore ritenesse la quota sottovalutata e avesse un’aspettativa rialzista fino ad esempio a 1.500. 


Qualora a seguito dell’affrancamento il riscatto del fondo avvenisse a un valore inferiore a quello al 31 dicembre 2022 su cui è stata calcolata l’imposta del 14%, la minusvalenza dovrebbe poter assumere rilevanza fiscale (a differenza di quanto si vedrà per la rivalutazione delle partecipazioni), risultando compensabile entro 4 anni con eventuali redditi diversi (ad esempio, capital gain su azioni o obbligazioni), ma non con proventi derivanti dal riscatto di fondi (ciò almeno fino a quando non verrà attuata la delega per la riforma fiscale che prevede il superamento della dicotomia redditi di capitale-redditi diversi). 


La normativa in questione non tiene tuttavia conto dei fondi il cui patrimonio è investito (anche) in titoli pubblici italiani ed esteri equiparati, ai cui proventi normalmente si applica l’imposta sostitutiva nella misura del 12,5%, riducendo corrispondentemente e proporzionalmente la base imponibile del reddito derivante dalla partecipazione al fondo. Sarebbe quindi opportuno che l’Agenzia delle entrate chiarisse che l’imposta sostitutiva del 14%, nei casi in esame, venga applicata nel limite dell’89,29% dell’ammontare della quota di partecipazione al fondo che si considera riferibile a tali titoli. Per l’individuazione della quota riferibile ai titoli pubblici italiani e stranieri equiparati dovrebbe applicarsi la percentuale media rilevante al 31 dicembre 2022. 

Per le azioni o quote di Oicr immesse in rapporti di amministrazione, custodia, gestione o simili, l’opzione è esercitata mediante apposita comunicazione all’intermediario presso il quale è trattenuto il rapporto entro il 30 giugno 2023, il quale dovrà ricevere la provvista necessaria da parte dell’investitore e versare l’imposta sostitutiva del 14% entro il 16/09/2023. L’opzione è tuttavia preclusa con riferimento alle quote di fondi detenute in rapporti di gestione di portafogli per i quali sia stata esercitata l’opzione per il regime fiscale del risparmio gestito. 

In assenza di un rapporto di amministrazione, custodia o gestione, l’opzione può essere esercitata dall’investitore direttamente nella propria dichiarazione dei redditi relativa al 2022 e l’imposta versata entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi. L’opzione deve comprendere tutte le quote di fondi appartenenti a una medesima categoria omogenea possedute sia alla data del 31/12/2022 sia alla data di esercizio dell’opzione. Per categoria omogenea dovrebbe intendersi le quote dello stesso fondo aventi il medesimo Isin ovvero, in caso di Oicr multicomparto, le quote del medesimo comparto.

Rivalutazione di titoli negoziati

Con riferimento alla rivalutazione delle partecipazioni, la legge di Bilancio 2023, oltre a prevedere la ormai consueta riapertura dei termini per la rideterminazione del valore delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati, ha esteso la medesima facoltà anche per i titoli, quote o diritti negoziati in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione (ad esempio, Euronext Growth Milan), posseduti alla data del 1° gennaio 2023. I soggetti che possono avvalersi di tale facoltà sono i medesimi che possono rivalutare le partecipazioni non negoziate e che possono affrancare le quote di fondi comuni d’investimento. 

La rivalutazione richiede il versamento di un’imposta sostitutiva del 16% da calcolarsi sul cosiddetto valore normale determinato ex art. 9, comma 4, lett. a), del Tuir, con riferimento alla media aritmetica dei prezzi rilevati nel mese di dicembre 2022. Alla luce di tale criterio, non dovrebbe essere necessaria la perizia giurata di stima (necessaria invece per la rivalutazione delle partecipazioni non negoziate), potendo essere sufficiente la conservazione di un prospetto di determinazione del valore normale secondo i prezzi medi di quotazione del mese di dicembre 2022.

La rivalutazione può ricomprendere azioni, warrant, obbligazioni convertibili. È possibile rivalutare anche titoli in regime di risparmio gestito o inclusi in un portafoglio Pir anche se in entrambi i casi non sarebbe conveniente (salvo per i titoli inclusi in Pir che si intenda cedere prima del decorso dell’holding period per i quali non si intenda procedere al reinvestimento entro 90 giorni). 

Come per le partecipazioni non negoziate, anche nel caso di quelle negoziate il maggior valore rivalutato assume rilievo unicamente ai fini della determinazione dei redditi diversi (capital gain), mentre è irrilevante ai fini della tassazione dei redditi di capitale (dividendi, proventi da liquidazione e recesso) e non consente di realizzare minusvalenze deducibili. Il valore rivalutato è mantenuto come costo fiscale in capo al donatario, mentre non è rilevante per l’erede. 
L’imposta sostitutiva del 16% deve essere versata in unica rata entro il 15 novembre 2023, ovvero in tre rate annuali di pari importo a partire dalla medesima data con interessi pari al 3% annuo.
La formulazione della norma sembra consentire di rivalutare anche titoli non più posseduti alla data della rivalutazione, determinando rilevanti complicazioni per gli intermediari che si troverebbero a dover ricalcolare le plusvalenze/minusvalenze realizzate dal 1° gennaio 2023 e quindi conguagliare le imposte versate in eccesso.
Per evitare ciò si potrebbe applicare analogicamente e con gli opportuni adattamenti quanto previsto per la rivalutazione delle partecipazioni non negoziate e dunque si potrebbe ipotizzare che l’intermediario attribuisca rilievo al nuovo valore previa ricezione della comunicazione con cui l’investitore avvisa di voler avvalersi della rivalutazione indicando i titoli rivalutati, la quantità e il costo rideterminato. In assenza di chiarimenti, è ragionevole che gli intermediari assumano il valore rideterminato solo previa esibizione del modello F24 relativo al versamento almeno della prima rata. 


Poiché la rivalutazione dei titoli negoziati è operata applicando l’imposta sostitutiva del 16% non sull’incremento di valore del titolo rispetto al suo costo storico, bensì sull’intero valore determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nel mese di dicembre 2022, ne deriva che la soglia di convenienza sia molto elevata, nello specifico quando il valore normale è superiore a 2,6 volte il valore di carico. Ad esempio, se il titolo è in carico a 1.000 e il suo valore normale (determinato in base alla media di dicembre 2022) è pari a 2.650, in assenza di rivalutazione l’imposta sostitutiva sarebbe pari a 429, mentre nel caso di rivalutazione l’imposta sostitutiva sarebbe pari a 424. Il fatto che l’aliquota per la rivalutazione sia fissata al 16% rende di fatto la rivalutazione dei titoli quotati conveniente solo per investitori cassettisti con plusvalenze maturate assai rilevanti. 


(Articolo scritto in collaborazione con Francesco Murgo, Di Tanno Associati)

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Marco Sandoli, Francesco Murgo
Opinione personale dell’autore
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Avvocato e partner di Di Tanno Associati, Marco Sandoli vanta una consolidata esperienza nella fiscalità internazionale, d’impresa e contenzioso. Le sue aree di specializzazione comprendono: fiscalità dei fondi di investimento, operazioni di finanza straordinaria, venture capital, fiscalità dei patrimoni individuali (Hnwi) e protezione patrimoniale. È componente del collegio sindacale di società industriali e intermediari finanziari e membro della commissione Tax&Legal dell’Aifi e dell’Osservatorio pmi Euronext.

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