Negli uffici di Wework su Madison Avenue ho visto imprenditrici e imprenditori di ogni genere: dalla creatrice di costumi da bagno con al seguito ricamatrice di paiettes, accanto a investitori immobiliari, tutti insieme, perché nei disrupters quello che conta sono le idee e quanto sei bravo a realizzarle. È di qualche settimana fa l’apertura del più grande Talent Garden italiano a Roma nel vivace quartiere Ostiense, collocato in un palazzo che per i romani era simbolo di decadenza e abbandono. È stato ristrutturato, è tornato a uno splendore addirittura migliore del passato. Pullula di giovani, di ricercatori, di studenti (l’Università di Roma Tre è proprio di fronte e lo usa come incubatore per startup), di umanità che ha voglia di fare e di mettersi in gioco. È questa l’Italia che vogliamo.
I coworking danno linfa vitale a edifici vuoti, possono contribuire a “gentrificare” quartieri degradati o abbandonati. Ho visto a Ny l’effetto benefico generato da Wework quando ha creato la Flatiron School nella zona del Flatiron, oggi uno dei quartieri più vivi e interessanti della città, ma sino a 12-15 anni fa nessuno osava avvicinarsi per quanto fosse pericoloso. Oggi rappresenta la Silicon Valley della East Coast: i grandi – da Google a Facebook, da Wework a Uber – tutti vogliono stare lì. Non è un caso che anche il nostro Farinetti abbia realizzato al Flatiron il suo primo flagstore di Eataly a New York. La scuola attira ingegneri informatici, softwaristi, esperti di big data da tutte le parti del mondo, che gareggiano per vincere le borse di studio messe in palio dalle grandi corporate americane. Dalla presenza della scuola (quante scuole si potrebbero fare in Italia di ogni genere e tipo e attivare borse di studio per studenti più meritevoli!) ne ha beneficiato tutto il quartiere: i valori immobiliari delle case e dei negozi sono saliti e nel weekend coppie, famiglie e single adorano passare del tempo libero a passeggiare e fare yoga nel parco di fronte al Flatiron in prossimità della scuola.
Si mette a reddito anche ciò che fino a poco tempo fa era sacro e intoccabile come la lobby. Questa tendenza sta investendo anche i centri commerciali e operatori del calibro di Simon Property Group a Brookfield stanno iniettando nuova linfa vitale ai loro malls esistenti, abbandonati da tempo dai Millennials, ridefinendo il business model dove i nuovi key driver sono rappresentati da “new tenant”, “new look” e new client”.
Jll stima che la presenza di coworking nei centri commerciali crescerà del 25% ogni anno e che nel 2020 queste realtà raggiungeranno 3,4 milioni di square feet. I grandi proprietari dei maggiori centri commerciali americani stanno investendo a mani basse sulle società di coworking: Brookfield ha investito recentemente 80 milioni su Industrious, mentre in partnership con Convene possiede Iwg, proprietaria di Regus. Blackstone ha la maggioranza di Office Group, Carlyle ha acquistato Uncommon.
I coworking non sono tutti uguali come apparentemente qualcuno sarebbe portato a credere… Negli Usa la competizione tra player di flexible offices viene giocata e vinta dagli operatori che stanno incorporando la sostenibilità nei loro progetti, in termini di arredo con materiali riciclabili, efficientamento energetico, trattamento rifiuti, acqua, plastica, healthy food da erogare nei tradizionali distributori che arredano gli uffici, nella formazione “in house” su temi di climate change che organizzano periodicamente, chiamando a parlare esperti del settore. E fuori dall’orario di lavoro non restano certo vuoti. C’è chi organizza concerti di musica, mostre di artisti emergenti, corsi di cucina, di giornalismo dilettantesco, wine event e quant’altro renda vivace l’edificio e il quartiere anche fuori orario e durante i weekend. I Millennials scelgono i coworking che meglio rispondono al “green & healthy living”, che si traduce in sostenibilità sociale, ambientale ed economica e per questo sono disposti a pagare di più, per preservare il pianeta Terra per le future generazioni, quello che Papa Francesco nella sua Enciclica ha definito in maniera chiara “la cura della casa comune” per noi, i nostri figli e le generazioni future. È una grandissima opportunità che ci viene offerta anche in Italia per restituire vitalità a edifici privati, pubblici, immobili abbandonati dei Comuni, del Demanio, della Chiesa; è un paradigma per creare posti di lavoro, moltiplicare “vivai” di idee, progetti, talenti, per ridurre la povertà, per togliere dalla strada ragazzi che non trovano un’occupazione, per genitori che perdono un lavoro, per generare valore economico, sociale e ambientale di cui l’intera collettività ne ha immenso bisogno e ne beneficerà. È questo il vero ritorno dell’investimento, non più misurato solo ed esclusivamente in termini economici, ma c’è molto di più. Provare per credere.
A cura di Paola Casali, ceo & founder di Casali & Partners