Il ritorno in auge del “sale e lease back”: di cosa si tratta?

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Il contratto di lease back è messo al riparo da ogni contestazione e può rappresentare un bel salvagente per chi ha bisogno di liquidità. Un’opportunità in più per imprenditori e imprese messe in ginocchio dall’emergenza da covid-19

Certe cose si ripropongono. D’altronde, Gianbattista Vico lo aveva anticipato nel lontano Seicento, con la sua teoria dei “corsi e ricorsi storici”. Ma se a ritornare fosse la proprietà? Già, perché con il contratto cosiddetto di “sale e lease back” il venditore, che è l’originario proprietario del bene, cede quest’ultimo senza di fatto perderne il godimento, dal momento che diventa anche conduttore-utilizzatore dello stesso bene e, volendo, allo spirare del termine fissato, si trasforma addirittura in acquirente finale.

Com’è noto, infatti, il sale and lease back (letteralmente vendere e riaffittare) – species del più ampio genus del leasing finanziario – è un contratto con cui un soggetto, normalmente un imprenditore, vende a una società di leasing un bene (generalmente immobile) conservandone la disponibilità. Il medesimo bene, infatti, una volta versato il prezzo di vendita, viene concesso in locazione, dietro pagamento di un canone periodico pattuito e per un dato periodo di tempo, dalla società acquirente all’originario proprietario. Quest’ultimo, poi, a scadenza di contratto, avrà la facoltà di riacquistare la proprietà del bene, versando il prezzo di riscatto predeterminato tra le parti alla luce della somma totale dei canoni di locazione già pagati.

Sebbene l’ammontare complessivo dei canoni in parola sia superiore al prezzo di vendita iniziale – com’è normale che sia, dovendo coprire gli interessi sul capitale impiegato e il rischio dell’acquisto assunto dalla società di leasing – l’originario proprietario del bene finisce per godere di svariati vantaggi, grazie alle sue molteplici vesti. In effetti, in qualità di venditore, potrà incamerare liquidità, avendo di fatto ceduto l’immobile ad altri; ciò nonostante, in qualità di conduttore-utilizzatore, potrà continuare a godere del bene venduto, spogliandosi temporaneamente dei relativi costi (anche di manutenzione), per poi decidere di riacquistarlo al termine del rapporto.

Il tutto non senza benefici di carattere fiscale: ai fini delle imposte dirette, i canoni di locazione versati alla società sono ammessi integralmente in deduzione dal reddito di impresa e, ai fini Iva, la vendita dell’immobile in seno a lease back non è soggetto a imposta, non potendo essere qualificata come “cessione di beni” ai fini della base imponibile Iva. Ciò in quanto il diritto trasferito in capo all’istituto finanziario a seguito del leasing non lo autorizza a disporre del bene come se fosse il proprietario (Corte Giust., v. sent. 27 marzo 2019, C-201/18).

Ma si sa, le galline dalle uova d’oro esistono solo nelle favole e, in assenza delle dovute cautele, potrebbe essere messa in dubbio la liceità del negozio. Il rischio maggiore è che il contratto di lease back nasconda un’operazione in frode al divieto di patto commissorio, ex art. 2744 c.c. Bisogna, cioè, escludere che venga dissimulato fraudolentemente l’accordo tramite cui una parte si impegna, fin dall’inizio, a cedere un proprio bene immobile all’altra parte in caso di mancato adempimento di un obbligo; accordo, questo, vietato dall’ordinamento, che per il recupero delle somme dovute offre strumenti ben diversi.

Dunque, come ha precisato anche recentemente la giurisprudenza di legittimità, (ex multis, sent., 22 febbraio 2021, n. 4664) a fronte della validità astratta del contratto di sale e lease back, rimane la necessità di verificare, caso per caso, l’insussistenza degli elementi sintomatici di una vendita posta in essere in funzione di garanzia, volta pertanto ad aggirare il divieto del patto commissorio.

Parliamo, in particolare:

(i.) di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice;

(ii.) delle difficoltà economiche dell’impresa venditrice utilizzatrice;

(iii.) della sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente.

Con particolare, riguardo, poi, alla finalità elusiva di obblighi tributari, spetta al giudice di merito verificare che l’operazione sia posta in essere per soddisfare reali esigenze di liquidità, e che non comporti un uso distorto o improprio dello strumento negoziale volto a perseguire esclusivamente o essenzialmente un indebito vantaggio fiscale, contrario allo scopo delle norme tributarie (Cass., sent. 27 aprile 2021, n. 11023).

Insomma, ove non ricorrano le suddette circostanze, il contratto di lease back è messo al riparo da ogni contestazione e può rappresentare un bel salvagente per chi ha bisogno di liquidità. Non a caso, si tratta di una forma contrattuale che pare essere tornata in auge, proprio negli ultimi tempi, tra le imprese messe in ginocchio dall’emergenza epidemiologica da covid-19. Visto che la pandemia- variante delta permettendo – dovrebbe ormai volgere al termine, il lease back potrebbe aiutare gli imprenditori a ridurre l’esposizione debitoria, risanare il bilancio e rilanciare il Made in Italy, scongiurando il rischio di perdere l’azienda, magari di famiglia.

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