Le emissioni di Co2 dal 2010 al 2019 hanno raggiunto il livello più alto nella storia dell’uomo, nonostante gli impegni presi nell’accordo di Parigi del 2015 per “contenere” il riscaldamento globale a +1,5 gradi. Gli scienziati continuano a lanciare allarmi sempre più forti. Il nostro pianeta è sulla strada di un riscaldamento di oltre tre gradi in questo secolo, con temperature in Africa già di 1,11 gradi sopra i livelli preindustriali. Le azioni e gli impegni dei Paesi maggiormente industrializzati riuniti nel G20 non sono assolutamente sufficienti e adeguati. Quasi tutti i Paesi hanno mancato le scadenze delle Nazioni Unite per migliorare i loro programmi: solo 23 Paesi dei quasi 200 firmatari dell’accordo di Parigi hanno presentato piani aggiornati. Gli Stati Uniti, l’Ue e la Cina, i principali inquinatori mondiali, non hanno di fatto incrementato i lori piani di riduzione delle emissioni. Segnali positivi (e molte speranze) sono emersi dalle discussioni e dagli accordi presi al Cop 27, il vertice delle Nazioni unite sul clima a Sharm El Sheikh dei leader mondiali che si sono riuniti dal 6 al 18 novembre, per affrontare i temi più “caldi”, quali l’accesso ai finanziamenti per il clima, le perdite e i danni nei Paesi in via di sviluppo e la trasformazione degli attuali sistemi energetici.
L’industria immobiliare i cambiamenti climatici e gli impatti sull’indotto
L’industria immobiliare è tra quelle maggiormente responsabili generando oltre il 39% delle emissioni (11% dovuto ai materiali usati per la costruzione e il resto dovuto al funzionamento, riscaldamento e raffreddamento, degli edifici). Al contempo, il comparto immobiliare è tra le vittime maggiori e più esposte degli effetti di tali cambiamenti, sia in termini diretti per la distruzione e il danneggiamento degli asset a seguito di alluvioni, mareggiate, incendi, caldo estremo e uragani, sia per quelli più diffusi di erosione dei valori. A cascata l’impatto è evidente per le attività assicurative, bancarie in relazione al finanziamento degli asset e il loro valore sui libri delle banche e – più in generale – sull’intera filiera economica. Basti considerare che, in California c’è stato un aumento del 61% in mancati rinnovi di assicurazioni di immobili a causa dell’aumento dei prezzi o del rifiuto addirittura di coprire zone ad alto rischio. Bristol, in Inghilterra, a rischio inondazioni, e la zona a nord dell’Holderness, quella a più alto rischio erosione in Europa, hanno visto i valori dimezzarsi. Emblematica, non solo per l’immobiliare ma per l’intera umanità è la stima secondo la quale con questi ritmi Venezia entro il 2100 sarà sott’acqua. Ecco, quindi, che per i grandi immobiliaristi diventa essenziale la sostenibilità delle proprietà per difenderne il valore e la differenziazione geografica.
Crrem: cos’è il Carbon risk real estate monitor
Qualche timido – ma molto significativo – segnale è già stato dato dai grandi player dell’immobiliare. Innanzitutto, il grande successo per Crrem, il Carbon risk real estate monitor, strumento per guidare gli investimenti di efficienza energetica nel settore immobiliare, finanziato nell’ambito di H2020 Energy efficiency e avviato nel 2018, che aveva lo scopo di fornire ai gestori e agli investitori immobiliari commerciali uno strumento per aiutarli ad allineare le loro proprietà e i loro portafogli con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi ed evitare investimenti che potrebbero rivelarsi sbagliati a causa di politiche ambientali più rigorose.
La risposta di alcuni operatori del settore immobiliare
In soli 3 anni dal lancio, Crrem è diventato uno standard di mercato utilizzato e consigliato da investitori istituzionali come Allianz o Deka real estate. Ha attirato l’interesse di alcuni dei più potenti investitori istituzionali e associazioni immobiliari, riunendo più di 40 rappresentanti nello European investor committee tra cui Epra e Inrev, Unep FI o il World green building council. Anche banche e associazioni giapponesi stanno collaborando con l’iniziativa Crrem in progetti pilota, si legge sul sito della Commissione europea. Gli obiettivi di aumento delle temperature massimo di 1,5/2° C sono stati integrati nel Crrem tool, uno strumento excel di facile utilizzo, che consente ai gestori patrimoniali di valutare il rischio di incaglio dei propri edifici o anche di interi portafogli e di effettuare investimenti più consapevoli decisioni. Hines – il colosso immobiliare con oltre 80 miliardi di dollari di immobili gestiti – ha recentemente annunciato la nomina del primo chief carbon officer, figura strategica per perseguire gli obbiettivi di riduzione continua dell’impatto. Jll – altro player primario del mercato – ha da poco nominato un nuovo chief sustainability officer. Sicuramente siamo ancora ai primi passi, ma è fondamentale creare in primo luogo la coscienza e la cultura per una vera svolta, senza la quale pare difficile ipotizzare la prosecuzione della stessa vita umana sul pianeta come l’abbiamo sino ad oggi conosciuta.