Nuove tendenze nel real estate: il senior housing … è rock!

Maurizio Fraschini
Maurizio Fraschini
24.12.2019
Tempo di lettura: 3'
A fronte di una popolazione sempre più “senior”, cresce l'attenzione nei confronti di misure di promozione dell'invecchiamento attivo. In questo scenario, si sta affermando nel real estate un nuovo modello residenziale: il senior housing e assisted living
La popolazione italiana è una tra le meno “giovani” del mondo e questo trend è destinato a evidenziarsi sempre più nei prossimi decenni e a impattare sul real estate.  Le ultime ricerche pubblicate affermano che la frontiera (per essere considerati “anziani”) è ormai quella dei 75 anni, ma le evidenze dimostrano che anche le persone oltre i 75 anni continuano a essere molto dinamiche, attive e – fortunatamente – molto autonome. Già dal 2012 l'Ue, sulla spinta di Paesi membri del nord Europa molto più attenti a queste tematiche, ha avviato una serie di misure per la promozione dell'invecchiamento attivo, ovvero quello che consente agli anziani di realizzarsi pienamente in termini di occupazione, partecipazione socio-culturale e autonomia, rilevando e basandosi su indici quali l'aspettativa di vita, il benessere psicologico, l'uso delle tecnologie e il grado di connettività.
Ma come viene affrontato questo fenomeno fondamentale della società in Italia?

Fino a ora, per persone non più pienamente autosufficienti, che magari non avevano più una rete di sostegno familiare convivente, si è fatto un massiccio ricorso alle Rsa e alle case di cura, con ingenti costi diffusi, sia per le famiglie, sia per la collettività, anche in casi in cui tali strutture non erano strettamente necessarie.

Gli operatori di real estate hanno colto puntualmente questa prospettiva, investendo ingenti risorse in questa asset class, il cui valore, peraltro, è strettamente connesso ai titoli amministrativi di accreditamento.

In un'altra prospettiva, invece, molte persone ancora autosufficienti - che vivevano ormai sole in abitazioni  concepite per una famiglia precedentemente più numerosa, poste di fronte agli ingenti costi di gestione, di mantenimento (magari anche derivanti dai necessari lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento degli impianti) e al carico fiscale - hanno deciso di vendere la nuda proprietà, riservandosi l'usufrutto. Questa scelta, d'altro canto, non pare essere sempre così risolutiva e vincente. Innanzitutto, da un punto di vista successorio si perde un immobile sul quale magari riposano sacrifici di generazioni. Il prezzo di vendita  viene poi ovviamente ridotto dal diritto di usufrutto, tanto più se il venditore è ancora “giovane”. Le spese di gestione ordinarie, poi, restano a carico dell'usufruttuario, che continuerà a vivere in una casa magari inadatta e necessitante di interventi dettati anche dall'età che avanza. E, fattore non trascurabile, uno tra i disagi maggiormente avvertiti tra gli anziani è sicuramente la solitudine. Restare a vivere nel medesimo alloggio non pare in alcun modo alleviare questo tema.

Peraltro, anche in un'ottica di disposizione dell'asse ereditario, trasferire agli eredi il prezzo della vendita della nuda proprietà può risultare non sempre indolore da un punto di vista fiscale.

Nel mondo del real estate, quale potrebbe essere dunque una valida soluzione, che consenta di migliorare la qualità di vita di persone prossime a divenire “anziane”, che vogliono valorizzare al meglio il proprio patrimonio e magari fare un buon investimento, anche a beneficio delle future generazioni?

Sicuramente va considerata l'ipotesi di acquisto o, magari, la permuta (se il legislatore intervenisse provvidamente con adeguati incentivi fiscali) del proprio “vecchio” immobile con un'unità immobiliare collocata in una residenza di cosiddetta senior housing e assisted living.
Questo modello residenziale, concepito specificamente per il benessere di persone anziane e autosufficienti, originatosi oltre 40 anni fa in nazioni dov'è meno presente un sistema famigliare “assistenziale e allargato” (come l'Australia, la Nuova Zelanda o gli Stati Uniti) è oggi ampiamente diffuso in molti Paesi nordeuropei.

Gli immobili destinati al senior housing sono caratterizzati dalla presenza di appartamenti privati con “tagli” e caratteristiche interne (ad esempio nei bagni) più adeguati alle esigenze degli occupanti (e con la possibilità magari di ospitare qualche familiare o amico) e da spazi e servizi comuni (come palestra, ristorante, spazi per la socializzazione e un presidio sanitario attivo), tali da contemperare le giuste esigenze di autonomia e privacy, con quelle di vivere in un contesto maggiormente “protetto”, che favorisca la socialità. Ovviamente il livello dei servizi sarà correlato alla tipologia e al “posizionamento” della residenza, fino ad arrivare a servizi di tipo alberghiero.

Da un punto di vista dell'investimento immobiliare, pare evidente che questa asset class sia destinata a una intuibile crescente valorizzazione. Oltre ai primi operatori, pionieri nel nostro Paese per questo genere di iniziative, come Real Care, si stanno iniziando a evidenziare interessi e sensibilità anche da parte di soggetti pubblici. L'Inps ha infatti concluso i primi apporti di immobili al fondo i3-Silver, gestito da Invimit Sgr, per essere riconvertiti a residenze di senior housing.

L'auspicio è proprio quello che si percepisca sempre più, anche a livello sociale e culturale, il valore intrinseco di un investimento in un immobile di senior housing, frutto di una scelta precisa e ponderata anche di opportunità economica e non più dettato unicamente dalla pressante necessità di trovare una soluzione abitativa per una persona, quando ormai non è più in grado di vivere sola nella propria casa.

 
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Avvocato del Foro di Milano e Parigi, è partner dello studio Plusiders. Si occupa di M&A, real estate e private equity. Ha una consolidata esperienza nella strutturazione e realizzazione di operazioni
societarie straordinarie e, in particolare, nella gestione dei differenti aspetti degli investimenti e della contrattualistica nel settore real estate.

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