La riforma del catasto e il “muro contro muro”

Aldo Bisioli
Aldo Bisioli
11.3.2022
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La delega (a riformare il fisco) proposta dal governo prevede, tra l'altro, la riforma del catasto È stata fatta (più di una volta) una “voluntary disclosure” per i capitali all'estero: perché non farla, seppur “involuntary”, per gli immobili nostrani?
Si è già scritto circa la sfida contro il tempo rappresentata da un progetto molto ambizioso (una riforma fiscale organica e non frammentaria), accompagnato da un'emergenza improcrastinabile (una giustizia fiscale in stato comatoso), che deve essere ultimato entro 12 mesi (nel marzo 2023 scade la legislatura, e con essa tutte le possibilità di sfruttare una legge delega che ancora non ha visto la luce).Il tempo stringe, dunque, ma occorre sciogliere un nodo che ha rischiato di far cadere l'esecutivo: il catasto.

La delega (a riformare il fisco) proposta dal governo (e che il parlamento deve approvare, autorizzando così il governo a realizzare la riforma per mezzo di decreti legislativi) prevede infatti, tra l'altro, la riforma del catasto (modernizzazione, trasparenza, aggiornamento dei valori, emersione del sommerso, etc.).
Tanto si è scritto, anche da queste colonne, al riguardo - quello che qui interessa è il motivo per cui si sia creato, al riguardo, un “muro contro muro”.

1 - Da un lato, chi sostiene (Draghi in testa) che non si tratta di aumentare le tasse, ma di rendere il sistema più trasparente: “Nessuno pagherà più tasse. La riforma serve per eliminare abusi e irregolarità” (ipse dixit).
2 - Dall'altro, chi sostiene (Lega in testa) che si tratta di una riforma che, in modo surrettizio, incrementa la pressione fiscale sul mattone (anche se con effetti ampiamente differiti: si parla del 2026).

La domanda è inevitabile: chi mente?
La verità sta nel dettaglio, che probabilmente quasi tutti hanno già colto, ma che vale la pena di esplicitare.
Non ci sarà alcun incremento di tassazione “sugli immobili regolarmente accatastati… nessuno pagherà più tasse per questo”, così ha dichiarato il premier al question time alla Camera del 9 marzo scorso).
Il vero tema, colto già in molti altri interventi, è il sommerso (gli immobili abusivi in Italia) e gli accatastamenti all'“italiana”.
Il messaggio del governo è quindi il seguente: chi già dichiara, da fedele contribuente, non pagherà di più.
Siccome, però, oltre a far emergere (il sommerso), si vuole giustamente aggiornare i valori (oggi effettivamente troppo bassi o troppo alti), un governo coraggioso potrebbe spingersi oltre, e garantire in una prima fase (tre anni?) un'invarianza assoluta di imposta a livello di singolo contribuente in regola: in soldoni, a fronte di un possibile innalzamento di valore del singolo immobile, con conseguente aumento di imposizione, deve intervenire un plafond a tutela di chi ha sempre pagato, non applicabile a chi invece non ha mai contribuito (o lo ha fatto in modo furbesco).

In definitiva, il vero punto è l'evasore totale: è stata fatta (più di una volta) una “voluntary disclosure” per i capitali all'estero: perché non farla, seppur “involuntary”, per gli immobili nostrani? E perché non chiamarla con il vero nome? La risposta, politica, è comprensibile, ma forse meno giustificabile per un governo di salvezza nazionale.
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Laureato in Economia aziendale con il massimo dei voti presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, dal 1997 svolge l’attività presso lo studio Biscozzi Nobili, in qualità di socio dal 2003. È iscritto all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano dal 1992. Revisore contabile dal 1999, ora Revisore Legale. Specializzato in fiscalità d’impresa.

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