La compravendita
Analizziamo ora la compravendita di un immobile residenziale, ossia l’investimento immobiliare più significativo, e più in dettaglio il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà dell’immobile in cambio di un corrispettivo in denaro (prezzo).
“Il trasferimento della proprietà di un’abitazione è influenzato dalla variabile fiscale, ossia dall’onere accessorio costituito dalle imposte che aggravano notevolmente il costo dell’operazione. Infatti, l’acquirente dovrà considerare che al prezzo di vendita dell’immobile dovrà aggiungere le imposte da pagare, che variano a seconda della tipologia (abitazioni di lusso – civile abitazione) e della destinazione del bene (prima casa – seconda casa) oggetto di compravendita”, spiega Stefano Guerreschi, partner di Osborne Clarke, aggiungendo che gli italiani acquistano prevalentemente abitazioni civili (non di lusso) con destinazione prima casa: tale acquisto risulta essere, infatti, il meno oneroso da un punto di vista fiscale.
- – L’acquisto della prima casa.
“Se il venditore è un soggetto privato l’atto è soggetto alle seguenti imposte: imposta di registro al 2% del valore catastale rivalutato dell’immobile, imposta catastale fissa di 50 euro e imposta ipotecaria fissa di 50 euro. Se il venditore, invece, è l’impresa costruttrice le imposte saranno le seguenti: Iva al 4% entro i cinque anni dalla fine lavori, imposta di registro fissa di 200 euro, imposta ipotecaria fissa di 200 euro e imposta catastale fissa di 200 euro. Passati cinque anni dalla fine lavori si potrà optare per l’applicazione dell’imposta di registro, in regime di esenzione Iva, pari al 2% del valore catastale rivalutato e le seguenti imposte accessorie (ipotecaria fissa di 50 euro e catastale fissa di 50 euro)”, precisa Guerreschi.
- – L’acquisto della seconda casa.
Passiamo ora all’acquisto della seconda casa, più oneroso dal punto di vista fiscale.
“Se il venditore è una persona fisica (privato), un’impresa “non costruttrice” o un’impresa costruttrice che abbia ultimato i lavori da oltre 5 anni, le imposte applicabili sono: l’imposta di registro al 9% calcolata sul valore catastale rivalutato, l’imposta ipotecaria fissa di 50 euro e l’imposta catastale fissa di 50 euro. Se il venditore però è un’impresa costruttrice che ha ultimato i lavori da meno di 5 anni o che comunque ha optato per l’assoggettamento al regime Iva oltre i 5 anni dalla costruzione si devono applicare l’Iva al 10%, e le imposte fisse di registro, ipotecaria e catastale da 200 euro ciascuna”, prosegue il partner di Osborne Clarke.
L’investimento in immobili residenziali rappresenta una modalità di impiego del capitale che può consentire un guadagno in conto capitale derivante dalla rivendita del cespite e una rendita data dal canone di locazione ritraibile dal bene stesso.
La selezione del conduttore rappresenta un momento importante poiché normalmente la durata di una locazione di natura abitativa è di quattro anni, con rinnovo di ulteriori quattro anni.
Il mancato pagamento del canone rappresenta il rischio principale che il proprietario deve affrontare. “Solitamente ci sono rimedi, come la risoluzione automatica del contratto, ovvero garanzie di natura bancaria-assicurativa, che consentono al proprietario di incassare, mediante richiesta, delle somme di cui il conduttore si è reso fideiussore”, puntualizza Guerreschi, precisando che, per le persone fisiche, costituisce reddito anche la plusvalenza derivante dalla rivendita dell’immobile nel quinquennio di possesso: la plusvalenza tassabile è pari alla differenza tra prezzo di vendita e costo di acquisto. “Decorso il quinquennio la plusvalenza è esente da tassazione per il proprietario persona fisica, mentre per il proprietario persona giuridica la plusvalenza è sempre tassata”, precisa il partner di Osborne Clarke, ricordando che la plusvalenza è assoggettata a imposta sostitutiva del 26% per le persone fisiche, ovvero all’Ires del 24% per le persone giuridiche.
In termini generali, la tassazione dei canoni di locazione non prevede distinzioni di base imponile basate sulla natura del proprietario, sia esso una società (soggetto Ires) ovvero una persona fisica (soggetto Irpef). Infatti il principio generale è che il reddito da locazione sia tassato in base al 95% del canone contrattuale, a prescindere dall’incasso, quindi si tratta di una tassazione sulla base del principio di competenza. “Ovviamente per i soggetti Ires la tassazione sarà in base all’aliquota fissa del 24% (oltre all’Irap) mentre per le persone fisiche si applica l’aliquota progressiva – puntualizza – Il canone di locazione viene poi assoggettato alla imposta di registro annuale del 2% sul canone stabilito contrattualmente (che solitamente viene ripartita egualmente tra locatore e locatario), a prescindere dalla natura soggettiva delle parti”.
Per gli immobili residenziali, nel caso in cui il proprietario sia una persona fisica, è possibile optare per la tassazione cosiddetta “cedolare”, ossia mediante applicazione di un’aliquota del 21% sul 100% del reddito da locazione. In tal caso non si applica l’imposta di registro e il canone non può essere rivalutato per tutta la durata di applicazione della cedolare secca. Per gli immobili abitativi situati in zone ad alta intensità abitativa e a condizione che il canone sia determinato sulla base del canone concordato tra associazioni dei proprietari e degli inquilini, la cedolare scende al 10% del canone.
“Volendo determinare le somme percentuali che incidono sul rendimento, nel caso di persone fisiche si può tenere conto dell’imposta cedolare (21% del reddito), dell’Imu (calcolata sul valore patrimoniale determinato sulla base delle rendite catastali rivalutata e di solito intorno all’1%), delle spese straordinarie (che solitamente si accompagnano a un beneficio fiscale derivante dalla detrazione ai fini irpef), mentre le spese ordinarie sono generalmente riaddebitate al conduttore”, conclude Guerreschi.