Pagamenti digitali, il futuro è senza contanti

Rita Annunziata
4.9.2020
Tempo di lettura: 3'
Continua la corsa dei pagamenti digitali: secondo un'indagine, in Europa il valore delle transazioni elettroniche potrebbe superare i 1.000 miliardi di dollari entro il 2022. Marco Giorgino del Polimi ci aiuta a capire cosa sta accadendo in Italia nel post-lockdown. Intanto, arriva il monito di Confesercenti: “Il tax credit pos è insufficiente per le imprese”

Il segmento principale è quello dell'e-commerce che oggi vale 545 miliardi di dollari

Nel Regno Unito l'81,8% dei cittadini utilizza i pagamenti digitali

Marco Giorgino: “I sistemi stanno tenendo, non abbiamo notizie di interruzioni di servizio, di sistemi IT delle banche collassati o di forti disfunzioni”

Se i vincoli legati alle misure di contenimento del contagio hanno determinato nei mesi più caldi della pandemia una vera e propria corsa ai pagamenti digitali, nel post-lockdown arriva la conferma di quello che viene definito “un trend incontrovertibile”. Secondo Marco Giorgino, direttore scientifico dell'Osservatorio fintech&insurtech del Politecnico di Milano, le transazioni elettroniche stanno continuando a crescere, sebbene con un'intensità differente. Ed è solo l'inizio.
Un'analisi di Buy Shares basata sui dati di Statista ha rivelato che il valore dell'industria europea dei pagamenti digitali potrebbe superare i 1.000 miliardi di dollari nel 2022. Dopo aver toccato i 507,1 miliardi nel 2017 e i 666,8 miliardi nel 2019, lo shock pandemico che ha costretto milioni di persone a ridefinire le proprie abitudini di consumo ha dato una decisa spinta al settore, portando gli analisti a stimare una chiusura dell'anno a 708,4 miliardi di dollari. Il segmento principale è quello dell'e-commerce che, precisa lo studio, nel 2020 vale da solo 545 miliardi di dollari, ma le statistiche mostrano che nei prossimi due anni il vero protagonista sarà il mobile pos con una crescita del 150% per un valore di 407 miliardi di dollari nel 2022.

In questo contesto il Regno Unito guadagna la vetta della classifica europea, con l'81,8% dei cittadini che utilizza i pagamenti digitali e un valore stimato del mercato di 164,4 miliardi di dollari entro la fine dell'anno. Segue la Germania con 104,3 miliardi di dollari di transazioni, la Francia con 75,2 miliardi, la Spagna con 41,2 miliardi e l'Italia con 41 miliardi. Per quanto riguarda il mercato italiano, nella fase di lockdown le transazioni elettroniche hanno conosciuto una vera e propria impennata ma con “la rimozione dei vincoli il trend è confermato”, spiega Giorgino, anche se “i tassi di crescita sono lievemente cambiati”. “È un dato che ci si aspettava perché non potevamo immaginare che le abitudini di consumo della popolazione venissero modificate in modo definitivo e strutturale, ma l'esperienza del lockdown ha certamente segnato il comportamento di molti e, quindi, assistiamo in ogni caso a un maggior utilizzo della moneta non cartacea”, continua l'esperto.

Sebbene non siano stati raggiunti ancora i livelli pre-covid, spiega inoltre Giorgino, molte attività sono ripartite, l'operatività è superiore rispetto alla fase di lockdown e i sistemi stanno tenendo. “È un dato positivo, non abbiamo notizie di interruzioni di servizio, di sistemi IT delle banche collassati o di forti disfunzioni. Tuttalpiù è da registrare un aumento degli attacchi informatici”, aggiunge.
Cosa accadrà dunque nei prossimi anni in Italia? Secondo l'esperto, le attese sono di una “continuazione della crescita, senza interruzione, perché ormai è un trend assolutamente incontrovertibile”. “Quando parliamo di mobile payment possiamo riferirci all'utilizzo del telefonino per effettuare i pagamenti, ma possono esserci applicazioni bancarie e, sempre di più, applicazioni non necessariamente di origine bancaria con cui però le banche si interfacceranno e che serviranno a rendere più efficiente e veloce il sistema dei pagamenti. Pensiamo ad Apple Pay, Samsung Pay, Google Pay, Alipay, fino alla possibilità di pagare attraverso applicazioni di social network come WeChat in Cina”, conclude Giorgino.

Confesercenti: tax credit pos insufficiente


Intanto, arriva il monito di Confesercenti. Dopo l'abbassamento del tetto per le operazioni in contanti da 3mila a 2mila euro lo scorso 1° luglio e lo stanziamento di 1,75 miliardi di euro di risorse per il piano di cashback, si torna a puntare il faro sul credito d'imposta per le commissioni pagate dalle imprese su carte e bancomat. Come ricorda l'associazione in una nota, “il beneficio vale il 30% delle commissioni per le transazioni mediante carte di credito, di debito o prepagate o altri strumenti tracciabili, ed è riservato ai piccoli esercenti che non abbiano conseguito nel 2019 ricavi superiori a 400mila euro”. Se si considera un'attività media con un fatturato annuo di 200mila euro, di cui il 50% pagato con carte o bancomat, secondo le stime di Confesercenti il credito ammonterebbe a 429 euro, “un mini-bonus certamente insufficiente a coprire i 1.430 euro di commissioni sui pagamenti elettronici sostenuti dall'attività”, dichiara l'associazione, anche perché il meccanismo non considererebbe i costi aggiuntivi dell'installazione e dell'utilizzo del Pos e della linea telefonica dedicata. Inoltre, il vantaggio fiscale “rischia di essere eroso dalla burocrazia”, continua Confesercenti. Per accedere al bonus, infatti, bisogna presentare mensilmente un modulo F24, una procedura che richiederebbe un costo aggiuntivo di circa 180-200 euro l'anno se affidata a un professionista.

“Così si tramuta il tax credit da un aiuto per le imprese a un vantaggio per altri – commenta Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti – La misura va corretta, alzando la percentuale coperta dal beneficio e puntando a un abbassamento generale delle commissioni applicate a carte e bancomat, anche promuovendo la competizione tra carte di credito e di debito e nuovi sistemi di pagamento tecnologicamente più evoluti”. Secondo Bussoni, inolte, bisognerebbe azzerare costi e passaggi burocratici. “I dati relativi alle transazioni sono già a disposizione dei fornitori di sistemi di pagamento e dell'Agenzia delle entrate”, spiega. Poi conclude: “Il credito di imposta dovrebbe essere accreditato direttamente agli imprenditori come è stato fatto per il bonus a fondo perduto del decreto rilancio”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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