Marie Johansson (Tink): “con l’open banking, è il cliente che decide chi debba avere accesso ai propri dati e ovviamente li concede solo a chi gli offre in cambio un servizio di valore”
“Il successo di una strategia (di open banking, ndr) è strettamente legato alle finalità per cui la si sta implementando. Secondo il nostro osservatorio, la consapevolezza in Italia è alta, ma riscontriamo anche dello scetticismo nell’utilizzo e nell’impatto che avranno queste nuove soluzioni”
“Per guadagnare la fiducia di un cliente non basta più salvaguardare i suoi soldi, ma bisogna creare valore reale, offrendogli un servizio innovativo, gestire quindi una vera relazione con il cliente e motivarlo a scegliere quella data banca che lo mette al centro”
In che modo l’open banking rappresenta un’opportunità per i player del settore?
La storia recente indica in modo molto chiaro quali siano le opportunità offerte dall’open banking, basti pensare che fino a qualche anno fa, i dati finanziari erano chiusi dentro le banche che erano le uniche ad averne accesso e quindi anche le uniche a poter dare consigli ai propri clienti. Oggi invece con l’open banking, è il cliente che decide chi debba avere accesso ai propri dati e ovviamente li concede solo a chi gli offre in cambio un servizio di valore. Appare chiaro, quindi, come le opportunità che l’open banking offre ai player del settore siano connesse a stretto filo a quelle offerte ai clienti finali, in un’indissolubile catena di vantaggi. In questo nuovo mondo, grazie al quale i dati sono più facili da spostare da una banca ad un’altra o da una banca ad una terza parte, è più facile paragonare servizi e prezzi, per cui questo offre un vantaggio immediato ai consumatori, ma anche alle banche che possono fare offerte vantaggiose per il proprio target group e, quindi, conquistare nuovi clienti in modo più semplice.
Quali sono gli errori più comuni commessi dagli istituti finanziari nell’implementare una strategia di open banking?
Dividerei la strategia di open banking in due parti, da un lato c’è l’obbligo a esporre un’interfaccia per abilitare le terze parti ad accedere ai dati e dall’altra c’è la strategia per accogliere le opportunità di business che sono emerse con l’open banking. Per quanto riguarda il primo punto, noi di Tink valutiamo le open Api guardando tre aree: la user experience, la data parity e le performance. Tutti e tre i parametri sono fondamentali, ma probabilmente il più importante è la user experience. Quando confrontiamo l’esperienza utente tra diversi mercati in Europa, vediamo che in Italia alcune banche hanno introdotto dei flussi più macchinosi e meno user friendly, motivo per cui stanno lavorando adesso per implementare le proprie interfacce. Per quanto riguarda il secondo punto, secondo un’indagine che abbiamo condotto nel 2020, il 63,3% degli istituti finanziari italiani vede l’open banking come un’opportunità, a fronte di una media europea del 58,6%. Abbiamo notato come le banche, in Italia, danno molto importanza all’esperienza del cliente. Infatti, i servizi su cui maggiormente si concentrano gli investimenti italiani sono legati al miglioramento della customer experience ed in dettaglio ai servizi di gestione finanziaria (53,3%), seguiti a ruota da quelli di payment initiation (50%). Vediamo però che l’investimento richiesto per costruire e soprattutto mantenere le connessioni con le altre banche è stato sottovalutato da quelle di grandi dimensioni. Non è sostenibile costruire e mantenere una piattaforma di open banking inhouse. Per poter ottenere un ritorno dall’investimento, la collaborazione tra banche e fintech è fondamentale.
Cosa determina il successo di una strategia?
Il successo di una strategia è strettamente legato alle finalità per cui la si sta implementando. Secondo il nostro osservatorio, la consapevolezza in Italia è alta, ma riscontriamo anche dello scetticismo nell’utilizzo e nell’impatto che avranno queste nuove soluzioni. Bisogna agire pensando all’obiettivo che si vuole raggiungere e investire dove ci sono vere opportunità di business, perché se le banche investono in queste soluzioni solo per essere riconosciute come innovative, senza nutrire fiducia nel mezzo o aver riscontrato interesse reale da parte dei clienti finali, non arriverà alcun risultato. Se si implementa una nuova tecnologia ma la si lascia al suo destino, ci sono poche possibilità che abbia successo. Chi invece riconosce il vero valore e potenziale di queste soluzioni avrà un vantaggio importante rispetto ai competitor.
A quali rischi va incontro chi rimane indietro e non abbraccia questa rivoluzione?
Fino a qualche anno fa la banca otteneva nuovi clienti in modo molto tradizionale: quando arrivava il momento della maggiore età di un figlio si andava ad aprire un conto in banca, nella stessa banca dove i genitori avevano già depositato i propri soldi. E non solo, una volta diventati clienti di una banca si rimaneva lì per tutta la vita. Oggi invece è tutto cambiato, per guadagnare la fiducia di un cliente non basta più salvaguardare i suoi soldi, ma bisogna creare valore reale, offrendogli un servizio innovativo, gestire quindi una vera relazione con il cliente e motivarlo a scegliere quella data banca che lo mette al centro. Come ha detto Bill Gates, sopravvalutiamo il cambiamento che si verificherà nel breve tempo, mentre sottostimiamo il cambiamento che si verificherà nel lungo termine. Una banca non può muoversi velocemente per forza di cose, quindi se non inizierà a muoversi ora non riuscirà a colmare il gap più avanti.
Stando a quanto emerso da una vostra ricerca, solo il 17% degli istituti finanziari italiani ha attualmente in corso una partnership fintech. Cosa ostacola la collaborazione tra le due realtà?
Sicuramente instaurare una partnership di successo tra una banca e una fintech può rappresentare un’operazione impegnativa. Per le banche, l’accesso a tecnologie emergenti e a nuovi modelli di lavoro innovativi può contribuire a rafforzare un vero e proprio vantaggio competitivo e soddisfare le nuove esigenze dei consumatori. Per il resto penso sia importante chiarire subito i ruoli che ognuno dovrà avere nella partnership, per poi poter agire in modo più spedito. Da parte della banca, il referente del progetto deve fungere da collante tra i diversi dipartimenti interni. Deve ottenere il buy-in dal management; allineare i reparti attorno ad un messaggio unificato che possa essere ritrasmesso alla fintech e inoltrare eventuali problematiche da risolvere. Da parte della fintech, il contatto interno deve comprendere i complessi processi della banca partner per poter affrontare con successo i requisiti di onboarding e i processi di approvvigionamento che molte banche di grandi dimensioni hanno in atto. Aumentando la consapevolezza nei confronti della tecnologia e dei ruoli che ogni player dovrà avere in ogni collaborazione, questi numeri non potranno che crescere.