Fintech e banche tradizionali: una sfida all'ultimo cliente

Rita Annunziata
28.5.2021
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Le fintech danno prova di resilienza e chiudono l'anno della crisi con una crescita a doppia cifra. Ma le incumbent continuano a marcare stretta la clientela. E ci riescono

Il 25% dei consumatori ricerca servizi più veloci, personalizzati e comodi, dichiarandosi disponibili a sperimentare anche prodotti bancari offerti dai nuovi operatori

Ma continuano a fidarsi delle banche tradizionali: il 68% afferma di essere disposto a provare l’offerta unicamente digitale del proprio istituto di riferimento

Berry: “Per rimanere rilevanti, gli operatori tradizionali devono far sì che la finanza sia integrata nello stile di vita dei clienti e abbracciare modelli basati su piattaforme”

Entrate in scena dopo la grande crisi finanziaria del 2008, le fintech hanno scosso l'ecosistema bancario offrendo un'esperienza digitalmente dirompente, praticità e semplicità dell'onboarding, e un mix di prodotti a basso costo. Caratteristiche che, anche nell'anno del “cigno nero” della crisi pandemica, hanno consentito loro di registrare una crescita a doppia cifra.
Dopo quattro anni consecutivi col segno meno, infatti, il settore ha riportato nel quarto trimestre del 2020 un boom dell'attività commerciale del +11% anno su anno. E i mega-round (accordi d'investimento di grandi dimensioni) sono scivolati a fine anno a 102 da 92 nel 2019. A scattare la fotografia è il nuovo World fintech report 2021 di Capgemini ed Efma, che ricorda al contempo come più della metà delle fintech (51%) stimi un calo delle riserve di capitale a causa dell'incremento dei costi relativi a personale, onboarding e archiviazione dei dati durante i lockdown succedutisi.

Ma è proprio l'adozione globale di modelli digitali innescata dalla pandemia che, secondo gli esperti, ha consentito al settore di guadagnare quote di mercato e accelerare il pressing sui player tradizionali. Il 25% dei consumatori, infatti, ricerca servizi più veloci, personalizzati e comodi, dichiarandosi disponibili a sperimentare anche i prodotti bancari offerti dagli operatori di nuova generazione. Certo, i dati lo dimostrano, continuano a fidarsi anche delle banche tradizionali, con il 68% che afferma di essere disposto a provare l'offerta unicamente digitale del proprio istituto di riferimento. E le incumbent, dal canto loro, continuano a marcarli stretti facendo leva sui propri punti di forza (come la portata globale e la fiducia dei clienti) ma anche lavorando su quelli deboli (come legacy It e customer experience).
Esse, osservano i ricercatori, “sono consapevoli del potenziale dell'engagement digitale, tanto che il 63% dei dirigenti bancari intervistati ha affermato che i touch point digitali consentono di sviluppare un business capillare, mentre il 50% ha dichiarato che permettono di portare nuovi prodotti sul mercato più velocemente e il 52% che rendono la collaborazione con l'ecosistema più facile grazie alla funzionalità plug-and-play”. Ma, spesso, tendono essere frenate proprio da mindset e modelli di business troppo tradizionali: il 47% cita l'assenza di un supporto a lungo termine della capogruppo, per esempio, il 43% l'indisponibilità a sostenere la cannibalizzazione strategica a breve termine della base clienti, e il 55% la difficoltà nel presentare offerte digitali non competitive.

Di conseguenza, conclude il rapporto, mentre le fintech conquistano quote di mercato, le banche tradizionali dovrebbero incamminarsi verso un “modello ibrido”, modernizzando le operazioni di middle e back-office e mettendo a terra entità “digital-only” per servire determinati segmenti di clientela. “Gli effetti della pandemia hanno reso il tradizionale contesto del retail banking ancora più esigente”, spiega John Berry, ceo di Efma. “Per rimanere rilevanti, gli operatori tradizionali devono far sì che la finanza sia integrata nello stile di vita dei clienti e abbracciare modelli basati su piattaforme: procrastinare non è più un'opzione possibile”. Sulla stessa linea d'onda anche Monia Ferrari, financial services director di Capgemini in Italia, secondo la quale “sebbene i percorsi digitali delle fintech stiano diventando un modello strategico di riferimento da seguire, le banche devono muoversi in modo accurato e specifico, perché non esiste un approccio unico che possa andare bene per tutti i touch point digitali”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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