Boston consulting group ha realizzato una classifica delle “100 Tech Challengers” selezionate per modelli di business innovativi e di successo nei mercati emergenti
E dunque sembra che si stia andando a delineare una nuova geografia per quanto riguarda le realtà tecnologiche
Una nuova geografica tech
La Silicon Valley e la costa est della Cina sono indiscutibilmente i centri globali dell’economia digitale, ospitando 7 delle prime 10 società al mondo per capitalizzazione di mercato. Ma l‘innovazione non si è fermata, si è propagata anche in altri paesi dell’Asia, del Medioriente, dell’America Latina e dell’Africa. Le 100 società selezionate dal Bcg hanno sede in 14 paesi e rappresentano tutte le principali regioni del mondo. 40 si trovano in Cina, 17 in India, 9 in Israele, 8 in Sud Corea, 8 in Sud-Est Asiatico, 6 in America Latina, 6 in Russia, Est-Europa o Asia centrale, 3 in Africa, 2 in Turchia, 1 negli Emirati arabi uniti. L’indagine di Bcg evidenzia inoltre come 2/3 di queste operino in ambito B2c con app e servizi ai consumatori, mentre un terzo nel B2b. Utilizzano un ampio ventaglio di tecnologie sia hardware che software (come cloud computing, social media, gaming, intelligenza artificiale, advanced analytics, sicurezza informatica, semiconduttori, robotica) nei settori più diversi, dall’istruzione all’assistenza sanitaria, dalla logistica ai servizi finanziari.
Da aggiungere come a differenza dei rivali occidentali i big tech emergenti tendono a collaborare fra loro creando ecosistemi diversificati per attività e geografia: secondo un’analisi di Bcg, i migliori ecosistemi digitali contano circa 40 partner e si estendono su 10 o più Paesi. Altra differenza è la nascita. Se il sogno americano della Silicon Valley nasce in un garage o in uno studentato, i Tech Challengers cinesi sono finanziati dal governo, o sono il frutto della collaborazione tra università, imprese e autorità pubbliche (come il polo industriale Block 71 di Singapore, lo Skolkovo Innovation Center in Russia, le realtà di Bangalore in India o di Israele). In altri casi, sono costole di grandi conglomerati che mettono insieme risorse industriali e finanziarie al servizio di startup. Il colosso immobiliare indonesiano Lyppo Group, per esempio, ha sfruttato la sua banca dati di clienti e commercianti per lanciare un’app di servizi finanziari digitali, Ovo, da 115 milioni di download. Ma non solo perché può anche capitare che queste realtà, alle volta, ottengano fondi dai corporate venture capital di giganti tecnologici cinesi e americani alla ricerca di nuovi mercati o intimoriti dalla loro invadenza nelle economie avanzate.
L’economia nazionale
La ricerca di Bcg rivela inoltre come le 100 Tech Challengers adottino strategie di sviluppo diverse. Una parte offre soluzioni innovative a problemi specifici dei mercati emergenti. L’indiana Byju’s supplisce alla mancanza di scuole nelle aree rurali del Paese con un’app per l’istruzione digitale. Altre puntano invece a ridurre inefficienze con nuovi modelli di business: la cinese Cainiao network technology, per esempio, ha creato un sistema di coordinamento digitale per operatori logistici, con un’unica piattaforma che gestisce presa in carico, pagamento e tracciamento delle spedizioni. Ci sono poi alcune realtà che hanno già un respiro internazionale. La sudcoreana KakaoBank è stata la fintech più veloce al mondo nel raggiungere l’utile in soli tre anni con sistemi di pagamento innovativi e su misura di cliente quale la possibilità di dividere automaticamente fra amici il conto del ristorante.