Squid era stata creata lo scorso 26 ottobre e ha visto il suo valore rapidamente impennare fino a toccare i 2.861,80 dollari per unità, per poi collassare a 0,003 dollari
Si parla di “rug pull”, un meccanismo tramite il quale i truffatori ritirano improvvisamente una criptovaluta dal mercato impedendo agli scommettitori di venderla
Il caso
Squid era stata creata lo scorso 26 ottobre e ha visto il suo valore rapidamente aumentare del 230mila per cento fino a toccare i 2.861,80 dollari per unità. Poi, è letteralmente collassata a 0,003 dollari. In realtà non aveva nessun legame ufficiale con la serie Netflix, ma ne ha cavalcato il successo con un’apposita campagna di marketing. Così chi ha deciso di investirvi, da quanto si apprende, ha finito per cadere nella ragnatela del “rug pull”: termine che letteralmente significa “togliere la terra da sotto i piedi” e che sta a indicare un meccanismo tramite il quale i truffatori mettono in piedi una nuova moneta che promette di essere la prossima grande opportunità per far soldi e, dopo aver convinto un numero sufficiente di soggetti, spariscono nel nulla ritirando improvvisamente la criptovaluta dal mercato. E impedendo di fatto agli scommettitori di venderla e recuperare l’investimento iniziale.
Gli indizi
Ma, come anticipato in apertura, i segnali della truffa c’erano. Stando a quanto risulta a Bloomberg, anche prima del calo si ravvisavano delle incongruenze nel trading. CoinMarketCap, per esempio, ha pubblicato un avviso nel quale dichiarava di aver ricevuto “diverse segnalazioni” rispetto al fatto che gli utenti non riuscissero a vendere il token su PancakeSwap (piattaforma di finanza decentralizzata, ndr). Inoltre, il sito presentava testi colmi di errori, il canale Telegram non consentiva di pubblicare commenti e il profilo Twitter eliminava quelli che accennavano a una probabile truffa. Senza dimenticare il fatto che i creatori erano ignoti e il white paper che conteneva le informazioni tecniche sul token presentava anch’esso errori grammaticali o di ortografia.
Come difendersi
“Al di là che dal punto di vista della comunicazione i creatori sono stati bravi, millantando connessioni con la serie Netflix, il fatto che le vendite fossero bloccate rappresentava un chiaro indizio di una truffa. Oltre al fatto che si trattava di un exchange sconosciuto”, spiega Sartorelli. “Quando gli exchange più importanti rifiutano una crypto, o meglio un token, già questo dovrebbe insospettire gli investitori. L’aspetto da considerare, a mio parere, è che parliamo di pochi milioni di dollari. Si sta montando un caso enorme su qualcosa di piccolo. Certo, l’hanno architettata bene. Ma bisogna ricordare che hanno preso solo le briciole e sulla blockchain è molto più facile individuare questi raggiri”.
Secondo Sartorelli, quando si fanno operazioni di questo tipo, bisognerebbe partire da un certo livello di conoscenza della blockchain. E, qualora questo non fosse possibile, è necessario “individuare dei siti di riferimento (come Cointelegraph, The Cryptonomist o CoinMarketCap) dove verificare se qualcuno ne parla come un progetto sensato”. “Poi purtroppo ci sono anche progetti come quello di Shiba Inu e Dogecoin che non hanno consistenza, eppure valgono tanto. Nascono più per gioco che per rispondere a un servizio vero e proprio, come Ethereum per gli smart contract o Solana per i non-fungible token. Ma qualora un progetto, per quanto valga tanto, non si sa bene a cosa serva, non bisogna starci più di tanto dentro. Si può fare del trading, ma nient’altro”, conclude Sartorelli.