A fine 2021, si stima che 100 miliardi di dollari siano attualmente coinvolti nel sistema della finanza decentralizzata, ha affermato Claudia Biancotti, vice capo divisione economie emergenti e commercio mondiale della Banca d’Italia nel corso di un seminario organizzato venerdì 14 gennaio dalla Consob e dal Politecnico di Milano. La DeFi è ancora una nicchia, in altre parole. Eppure, attira già l’interesse delle autorità di vigilanza
Nel 2020 la Commissione europea ha avviato una proposta di regolamentazione dei cripto-asset, che comprenderebbe anche i servizi di finanza decentralizzata. “E’ un’opportunità per l’Europa per fissare uno standard che potrebbe essere seguito anche da altri Paesi”, ha affermato il commissario Consob, Paolo Ciocca
Infatti l’idea che un servizio finanziario non abbia un classico intermediario che si rende garante e responsabile degli scambi solleva numerosi interrogativi. Da un lato, c’è un’innovazione tecnologica che potrebbe allargare il numero degli attori che offrono servizi finanziari e ridurre i costi legati all’intermediazione tradizionale. Dall’altro, c’è l’incertezza sulle responsabilità in caso di abusi, sul diritto del consumatore ad essere tutelato e informato sui rischi che corre. Sono queste alcune delle suggestioni emerse dal seminario intitolato “DeFi e nuovi modelli di business”.
Che cosa distingue, nella sostanza il modello DeFi? Venendo a mancare la figura dell’intermediario tradizionale, gli scambi avvengono regolati da smart contract sulla blockchain: semplificando, quando alcune condizioni vengono soddisfatte, scatta in automatico l’esecuzione del contratto. I fondi, dunque, possono passare dal soggetto A a quello B senza che nessuna figura “di mezzo” ne entri temporaneamente in possesso. Non c’è dunque bisogno di fidarsi di un mediatore, come una banca. Ma se un vero mediatore viene a mancare, come si può vigilare il sistema? Nel 2020 la Commissione europea ha avviato una proposta di regolamentazione dei cripto-asset, la Micar, che ricomprenderebbe anche i servizi di finanza decentralizzata. “E’ un’opportunità per l’Europa per fissare uno standard che potrebbe essere seguito anche da altri Paesi”, ha affermato il commissario Consob, Paolo Ciocca.
I principi che finora hanno guidato gli orientamenti europei, secondo Valeria Falce (ordinario di Diritto dell’economia, Università Europea di Roma), sono i seguenti:
- “Stessa attività, stesso rischio implicano la medesima supervisione” da parte delle autorità;
- “Sì all’apertura nei confronti dell’esternalizzazione dei servizi”, ma senza che si aprano spazi di “impunità”.
Pertanto, “quando non è chiaro chi sia il fornitore del servizio, quando quest’ultimo si fonda su modelli organizzativi come quello della DeFi è la natura dell’attività offerta a determinare le regole e la relativa esecuzione”. La natura decentrata, dunque, non deve diventare “uno schermo” che deresponsabilizza. L’assunto fondamentale è: “ciò che illecito offline deve esserlo anche online”.
A facilitare l’atteso aggiornamento normativo, che potrebbe dare nuovi poteri di supervisione ad attori come la Consob c’è il fatto che, nella prassi, le app decentralizzate non rimuovono del tutto la figura di un intermediario. A mettere a fuoco questo aspetto è stato il responsabile scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Polimi, Marco Giorgino. Dall’analisi di 83 iniziative DeFi, il Polimi ha messo in luce come il ruolo degli intermediari cambi, ma non sparisca. “La finanza decentralizzata abilita nuovi modi con i quali l’intermediazione può essere messa in atto, per esempio, riducendo i costi di transazione, riducendo le asimmetrie informative”, ha affermato Giorgino. In questa ottica la DeFi “abilita nuovi operatori, o richiede l’evoluzione in questa nuova chiave tecnologica degli attori esistenti”.