Credit Suisse nel report Distributed Ledger Technology (DLT) and crypto assets, ha fatto il punto su quale dovrebbe essere, a loro avviso, l’allocazione del bitcoin in portafoglio
Da un recente sondaggio di Capgemini su più di 2.900 individui ad alto patrimonio in 26 mercati, è emerso come il 72% degli intervistati ha già investito in criptovalute
Come gli asset digitali hanno restituito performance notevoli negli ultimi anni – il bitcoin da quando è stato lanciato ha restituito un rendimento medio annuo del 155% – le criptovalute sono diventate parte integrante dei portafogli privati degli investitori più facoltosi, gli Uhnwi. Già nel 2020, Knight Frank stimò che in America Latina le criptovalute detenute dagli Uhnwi ammontavano al 3% della loro ricchezza totale, mentre tale percentuale si abbassava all’1% a livello globale. Contando che la ricchezza totale della popolazione più ricca ammontava a 191 mila miliardi di dollari, si stimava che 19 mila miliardi di dollari fossero investiti in criptovalute. Tuttavia, secondo l’ultimo report di Credit Suisse una tale fiducia non è del tutto giustificata. Questione di volatilità.
I numeri di Knight Frank sono confermarti anche da Capgemini. Secondo il World Wealth Report 2021 di Capgemini, che si basa su un sondaggio di più di 2.900 individui ad alto patrimonio in 26 mercati, il 72% degli intervistati ha investito in criptovalute, mentre il 74% ha investito in altri asset digitali. I più interessati al tema sono i millennial, la cui sfiducia nei confronti del denaro delle banche centrali (fiat) e della stampa di denaro su larga scala da parte delle banche centrali (quantitative easing, QE) è cresciuta dopo la Grande Crisi Finanziaria. Un recente sondaggio ha rilevato che il 41,51% di tutte le persone in possesso di bitcoin sono millennial di età compresa tra i 25 e i 35 anni. Negli Stati Uniti si stima che 46 milioni, o il 22% degli adulti, possiedono già bitcoin e l’80% sposterebbe il proprio Bitcoin nella propria banca se gli venisse offerto un servizio di stoccaggio sicuro.
Da un punto di vista prettamente di portafoglio, tuttavia, secondo Credit Suisse, le criptovalute non dovrebbe essere presenti in portafoglio. Mentre il bitcoin ha una bassa correlazione con altre classi di attività (azioni dei mercati sviluppati: 15%, azioni dei mercati emergenti: 6%, e debito pubblico americano a medio termine: 4%) la volatilità annualizzata del bitcoin risulta essere del 203%, più di dieci volte la volatilità della classe di attività più rischiosa attualmente inclusa nel portafoglio Credit Suisse. In altre parole, il bitcoin fa aumentare il rischio di portafoglio in maniera considerevole.
Prendendo per esempio un ipotetico portafoglio Usd Balanced in cui al posto delle partecipazioni in hedge fund si include il bitcoin come parte degli investimenti alternativi, la volatilità attesa del portafoglio sarebbe del 9,1%, 13,5% e 22,6%, rispettivamente per un’allocazione del 2%, 5% e 10% al bitcoin. Per fare un confronto, lo stesso portafoglio senza bitcoin avrebbe una volatilità attesa del 7,6%.
Inoltre l’allocazione del 2% in bitcoin in un portafoglio USD Balanced rappresenterebbe il 25% del rischio totale del portafoglio. A ben vedere la regina delle criptovalute negli ultimi dieci anni ha avuto tre momenti di drawdown dell’80% entro 18 mesi dal picco precedente. In caso di ottimizzazione di portafoglio non vincolato, secondo Credit Suisse, un’allocazione diversa da zero in bitcoin sarebbe giustificata solo in presenza di un rendimento atteso medio del 350%, e non del 155% (rendimento annuo storico).
Credit Suisse nel report Distributed Ledger Technology (DLT) and crypto assets, ha fatto il punto su quale dovrebbe essere, a loro avviso, l’allocazione del bitcoin in portafoglioDa un recente sondaggio di Capgemini su più di 2.900 individui ad alto patrimonio in 26 mercati, è emerso come il 72% deg…