Bitcoin, da investimento speculativo a riserva di valore?

Le cronache finanziarie di questi giorni – il sostanziale fallimento della banca Credit Suisse, rilevata da Ubs, la crisi complessiva del sistema bancario e la crescita dei tassi di interesse – hanno ridato vigore ai sostenitori della valute virtuali, soprattutto a coloro che in esse identificano un’alternativa all’“ordine costituito” dalle banche centrali (in altri termini, che vorrebbero veder prevalere un sistema libero e decentralizzato su un sistema vincolato w accentrato nelle mani di poche autorità).
Valute virtuali vs monete a corso legale
Analogo slancio ha subito anche la quotazione delle valute virtuali, tanto è vero che il Bitcoin, dall’inizio dell’anno, ha guadagnato l’80%. A dire il vero, il Bitcoin ha dato prova di poter crollare ancor più repentinamente, ma il tema di fondo resta, e attiene all’impatto sistemico di una valuta virtuale rispetto alle cosiddette monete a corso legale. Queste ultime, in ultima sostanza, sono stampabili all’infinito, per la gioia dei monetaristi (e il dispiacere dei keynesiani); al contrario, il Bitcoin è stato concepito (dal fantomatico Satoshi Nakamoto) come una moneta a quantità predefinita e immodificabile, e quindi non utilizzabile, neanche volendo, per promuovere politiche monetarie espansive o restrittive.
Non si può del resto dimenticare il monito della Banca d’Italia, la quale da tempo sul proprio sito istituzionale espone una “avvertenza sull’utilizzo delle cosiddette valute virtuali”: nella stessa si legge che dette valute, ovviamente, non vanno confuse con i tradizionali strumenti di pagamento elettronici (carte di credito, carte prepagate etc.); ma soprattutto si rammenta che le stesse non sono emesse o garantite da una banca centrale o da un’autorità pubblica e generalmente non sono regolamentate; inoltre, non avendo corso legale, non devono per legge essere obbligatoriamente accettate (almeno in Italia – in altri paesi, al contrario, lo debbono) per l’estinzione delle obbligazioni pecuniarie, ma possono essere utilizzate per acquistare beni e servizi sono se il venditore è disponibile ad accettarle.
Apertura delle valute digitali a un pubblico più ampio
E qui veniamo al nodo centrale: queste caratteristiche (presenti in quasi tutto il mondo) hanno fatto delle valute digitali un puro strumento di speculazione finanziaria, se non uno strumento per aggirare gli embarghi inflitti a taluni paesi, attirando su di sé critiche anche pesanti. Sta di fatto che il tempo, oltre ad essere galantuomo, è spesso l’unico giudice in grado di decretare la bontà di uno strumento finanziario (così come di tanti altri fenomeni economici). Se il Bitcoin resiste dal 2009, un motivo ci sarà, e se, soprattutto, la sua quotazione continuerà a crescere in un sistema finanziario in frenata (se non in crisi) potrebbe voler dire che il Bitcoin, ancora troppo giovane per assurgere a moneta avente corso legale, sarà pronto per i cosiddetti “cassettisti”, ovvero per quegli investitori (tanti) che cercano investimenti (diversi dal consueto mattone) in grado di proteggere il valore, innanzitutto dall’inflazione.
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