La quota di aderenti agli
strumenti di previdenza, tra i clienti delle reti di consulenza – oggi al 27% –
cresce più del resto della popolazione ma se andiamo a leggere i dati di
raccolta dei fondi pensione e dei Piani individuali pensionistici di tipo
assicurativo (Pip) vediamo che la percentuale oscilla tra un misero + 2% e +3%.
È noto che gli italiani abbiano
da sempre un rapporto complesso con la previdenza integrativa e complementare,
e questo nono[1]stante sia diffusa la
consapevolezza che la pensione dell’Inps non basterà a mantenere lo stesso
livello di vita nel periodo post-lavorativo. Se da un lato la domanda è debole
non è che l’offerta sia così brillante. Consulenti finanziari, banker, broker e
agenti hanno una responsabilità chiave. Sarebbe utile se lavorassero anche per
creare maggior consapevolezza, soprattutto tra i giovani. Il ruolo dei
professionisti è essenziale per promuovere una maggiore educazione finanziaria
in materia previdenziale: il 72% dei clienti non ha mai affrontato questa
tematica con il proprio consulente finanziario (era l’81% un anno fa).
Il ruolo dei professionisti e in
particolare dei consulenti finanziari è anche fondamentale per guidare i
clienti nella scelta dello strumento corretto di previdenza integrativa:
maggiore è l’orizzonte a disposizione, maggiore dovrebbe essere il profilo di
rischio e rendimento. Dalle ricerche condotte da Finer emergono alcuni dati che
dimostrano un leggero aumento della sensibilità: si è passati dal 75% (di un
anno fa) al 79% degli individui tra i 55 e i 60 che hanno consapevolezza di
queste tematiche, dal 52% al 55% tra i 45 e i 54 anni, dal 28% al 31% per i
30-35enni. Dati che se si spiegano con la spensieratezza e le minori risorse
economiche dei più giovani sono però assolutamente te irrazionali: i 30-35enni,
oltre ad essere i soggetti più toccati dal tema previdenziale, sono anche
quelli che hanno la possibilità di accantonare prima e dunque meglio.
In larga parte è un problema
culturale nostrano. Il 39% degli italiani pensa infatti che la pensione non sia
un problema (era il 42% un anno fa): nel caso in cui dovesse mancare la
liquidità necessaria per sostenersi continuerebbero a lavorare o venderebbero
gli immobili di famiglia. Il 22% (era il 17% un anno fa) invece afferma che nel
caso di risorse diminuite adeguerà di conseguenza il proprio tenore di vita.
Oltre alle barriere culturali vi
sono altri temi, come i costi, la trasparenza e l’accessibilità. Se è vero che
gli italiani hanno più fiducia nella pensione integrativa (66%) che in quella
pubblica (34%), per accedervi, però, cercano un consulente affidabile e
preparato. La fiducia nel consulente finanziario e la sua affidabilità sono
centrali, oltre la metà (52%) degli italiani si dichiara incapace di definire
da solo il Piano pensionistico più adatto alle sue esigenze.
Il ruolo del consulente nel fare
da intermediario culturale è dunque centrale proprio perché tra le barriere vi
è quasi sempre un tema di incomprensibilità e scarsa fiducia nell’offerta. A
ben vedere l’eccesso di liquidità sui conti correnti (2.000 miliardi), la
scarsa propensione ad assicurarsi degli italiani (solo il 10% è adeguatamente
protetto dai rischi basilari come, responsabilità civile, vita e salute) e la
mancata presa in carico del tema della previdenza integrativa sono tutti
fenomeni legati tra di loro. Per sciogliere questa matassa che appare a volte
ingarbugliata occorre un professionista che sappia conquistarsi la fiducia dei
clienti, il resto, temiamo, conti molto poco.
Articolo estratto dal Magazine di We Wealth di giugno 2022