Viviamo sempre più a lungo e l’invecchiamento fisico e cognitivo rallenta. Anziché essere davvero anziani dopo i 65 anni, arriviamo spesso a superare i 75 non molto diversi da come eravamo a 55/60. Quindi, a ben vedere, a fronte di una massa crescente di anziani, le singole persone invecchiano sempre più tardi. Tuttavia, va considerato che Italia e Giappone sono in cima alla lista dei Paesi più vecchi, perché al gran numero di persone nella terza e quarta età si somma una denatalità ormai cronicizzata. Ma può invecchiare il Paese senza che invecchi anche la forza lavoro?
I dati Istat mostrano la progressione della seniority della forza lavoro nel confronto 2007-2012-2018. Vi si legge un aumento costante delle fasce 55-59 anni e 60-64 anni. Le fasce di età successive non mostrano ancora grandi variazioni, ma con il miglioramento continuo delle condizioni di vita e di salute dei 65-75enni e con gli effetti delle riforme pensionistiche vedremo inevitabilmente salire anche queste. Il ciclo di vita lavorativo si sta allungando e proseguirà ben oltre l’età pensionistica, un po’ per necessità di continuare a produrre reddito, e contribuzione previdenziale, e un po’ perché il rallentamento dell’invecchiamento richiede di mantenersi attivi, di continuare a contribuire alla società e al proprio equilibrio personale.
La sostenibilità della longevità – finanziaria, sociale e personale – passa dal lavoro e dalla sua reinterpretazione in chiave senior. La pianificazione della longevità non può infatti prescindere dalla tutela anche di quella parte intangibile del patrimonio dell’individuo che è il suo capitale umano: competenze, verticali e trasversali, aggiornamento, professionalità, reputazione e impiegabilità o employability. Un tema del quale da sempre si occupa Intoo, società di career coaching, di cui è ceo Cetti Galante. A lei chiediamo di offrirci il suo punto di vista sulla tutela del capitale umano, sia per gli individui, sia per le aziende.
“Ogni individuo è unico, irripetibile e dotato di infinite possibilità. Sembra una vision come un’altra, ma in realtà la vera differenza sta tutta qui. A questo approccio abbiamo associato due grandi asset che si sono sviluppati associando le nostre professionalità individuali e attraverso l’esperienza comune: una profonda conoscenza del mercato del lavoro e la capacità di “leggere” le competenze delle persone che esse stesse non vedono fino in fondo. Competenze utili, sarebbe la giusta definizione, cioè competenze che siano in linea con i bisogni del mercato del lavoro, ma anche con le aspirazioni delle persone che per età anagrafica sono indotte a sentirsi marginalizzate. Un lavoro più da coach che da consulenti”.
Come per la consulenza patrimoniale, immagino che anche per la consulenza di carriera si effettui una mappatura del capitale, in questo caso umano. Come funziona? “Innanzitutto occorre inquadrare la persona nel suo ciclo di vita, in termini anagrafici e di percorso, e lavorare sui diversi scenari di pensionamento in virtù dei quali disegnare i percorsi professionali alternativi della fase di “second life”. Ma la persona va inquadrata anche in termini di aspettative, di progettualità e di business plan familiare. Di equilibrio personale. Stabiliti obiettivi e competenze utili, si delineano le opzioni di percorso per raggiungerli e i gap che ostano alla loro realizzazione. Gap che possono essere di competenze soft, comportamentali o di atteggiamento sul lavoro, o hard, skills e capacità vere e proprie. Individuati i gap si passa agli strumenti per colmarli. A volte può essere un brevetto o un corso di aggiornamento mirato a fare la differenza, altre volte un piano di sviluppo di un lavoro indipendente di consulenza, altre ancora l’accesso a un network di micro-finanziamento per iniziare una propria impresa”.
Come si lavora, sul versante invece delle aziende, alla tutela del capitale umano dell’impresa? “Si parte da un’analisi del settore di mercato, trend e cambiamenti in atto e relativo impatto sui ruoli aziendali, e individuazione delle skills necessarie per lo sviluppo del business. I binari che contengono il percorso sono la capacità da una parte di attrarre e dall’altra trattenere le competenze cruciali. Le aziende in tutto il mondo stanno affrontando un problema di scarsità di risorse: energetiche, di materie prime e di competenze. I lavoratori senior hanno molto da offrire, alle aziende e a se stessi, purché siano capaci di vedere le proprie capacità verticali e trasversali. Ma anche di credere al lavoro come un progetto di vita. Ciò vale per i lavoratori senior ma anche per i giovani che seguiamo con l’orientamento post universitario. Io sono fiduciosa. I giovani sono più preparati di tutti noi a concepire il lavoro come un progetto a lungo termine che non corre lungo una sola strada. Non c’è solo il lavoro dipendente, come non c’è più il posto fisso. La gig economy non è nata per caso e non bisogna aver paura di soluzioni non canoniche, perché se è cambiato tutto, devono cambiare anche i criteri con i quali misuriamo il lavoro. Certe cose spariranno e dico per fortuna. Sparirà il leader vecchia maniera, autoritario e autoreferenziale; con l’intelligenza artificiale magari spariranno mansioni che umiliano la realizzazione degli individui; sparirà anche il lavoro inteso come prestito di sé all’esterno di sé. Guardiamo questo fenomeno di great resignation. La pandemia ci ha fatto riflettere e scoprire che il lavoro deve trovare posto all’interno dell’equilibrio della vita, non al di fuori di esso.”
La longevità imporrà a tutti di rivedere il proprio ciclo di vita, spostando il baricentro più in avanti, come peraltro sta già succedendo naturalmente. Si esce di casa, si fanno figli sempre più tardi, alla prima famiglia spesso ne succede una seconda o una terza. Anche l’età lavorativa si allungherà per rendere sostenibile una longevità del tutto inedita. Pianificare e disegnare scenari e percorsi alternativi per allungare il nostro ciclo di vita diventerà un tool strategico per tutti noi.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di aprile 2022)