La Commissione europea stima che i Pepp aggiungeranno alla previdenza integrativa Ue 700 miliardi di euro.
L’offerta di prodotti previdenziali in Italia, però, è già ampia; il problema, semmai, è che la domanda non è mai decollata: lo farà adesso?
I Pepp rientrano nel piano di integrazione del mecato dei capitali europeo, che finora non ha avuto un prodotto di previdenza integrativa basato su regole comuni.
La novità è di respiro europeo, ma rischia di essere una di quelle che, per varie ragioni, passano piuttosto inosservate agli occhi dei risparmiatori. In Italia la previdenza integrativa ha sempre avuto un ruolo marginale nel risparmio, nonostante una vasta gamma di soluzioni “di terzo pilastro” disponibili per rafforzare la previdenza obbligatoria. Oggi, a quell’offerta, si aggiunge una nuova alternativa. Dal 22 marzo 2022, infatti, i gestori (ma anche, fra gli altri, assicurazioni e casse professionali) possono lanciare i “prodotti pensionistici individuale paneuropei”, meglio noti come Pepp.
A maggio, il governo italiano ha predisposto una bozza per la legge delega, che a sua volta predisporrà un futuro decreto legislativo necessario a introdurre ufficialmente i Pepp in Italia. Saranno, dunque, una novità in grado di incidere sulle scelte di pianificazione degli italiani? Assogestioni è fra le più ottimiste su questo punto. “Nel momento in cui verrà definito il quadro di riferimento, l’introduzione del Pepp potrebbe aiutare principalmente le nuove generazioni e i lavoratori autonomi ad avere una maggiore copertura previdenziale. In particolare, data la forte vocazione europea, potrebbe attirare molto i lavoratori transfrontalieri e quelli che si spostano all’interno dell’Unione”, ha dichiarato a We Wealth Arianna Immacolato, Direttore Fisco e Previdenza di Assogestioni. Un limite del Pepp, d’altro canto, “è l’assenza del Tfr come fonte di finanziamento e ciò potrebbe essere oggetto di revisione, per far fronte al potenziale squilibrio con le altre forme di previdenza ad adesione individuale”, ha aggiunto la Immacolato, “probabilmente saranno necessari interventi successivi a scopo migliorativo, per cogliere ulteriori istanze del mercato, ad esempio sul fronte fiscale o per quanto riguarda proprio il versamento del Tfr”.
Ad oggi, però, viene da chiedersi perché un risparmiatore che finora si sia disinteressato alla previdenza integrativa dovrebbe cambiare idea perché, adesso, sono arrivati i Pepp. “È una domanda sensata, in quanto in Italia abbiamo già un’offerta ricca di prodotti previdenziali: ci sono i fondi negoziali, pre-esistenti o nuovi che siano, interessanti perché hanno anche la contribuzione dei datori di lavoro; i fondi pensione aperti e i Piani individuali pensionistici (Pip) (vedi articolo a pag. 40)”, ha ricordato il presidente di Assoprevidenza, Sergio Corbello, in un’intervista rilasciata a questo giornale. “Il Pepp, dunque, non viene a collocarsi su un terreno vergine, ma su uno già piuttosto arato e non molto gradito dalla platea dei possibili interessati: per questo non mi aspetto un’esplosione da parte dei Pepp italiani”.
Eppure, uno studio della Commissione Ue ampiamente citato nelle ultime settimane aveva stimato un mercato potenziale da 700 miliardi di euro aggiuntivi per i Pepp, a livello europeo. “Attenzione, non tutti i mercati della previdenza sono come quello italiano”, ha dichiarato sul tema Corbello, “ce ne sono alcuni in cui l’offerta di prodotti è molto bassa, in particolare alcuni Paesi dell’Est Europa”.
Secondo il presidente di Assoprevidenza fra gli elementi peculiari che potrebbero, comunque, creare un qualche interesse sui Pepp da parte della clientela più giovane ci sarebbe la possibilità di sottoscriverli con una procedura interamente telematica. Oppure, potrebbero arrivare offerte di Pepp particolarmente vantaggiose da parte di gestori esteri che avranno la possibilità di proporre il prodotto anche in Italia. Per Arianna Immacolato alcuni aspetti peculiari del Pepp che potrebbero rispondere ad esigenze attualmente insoddisfatte sono “una maggiore flessibilità, che si sostanzia nella possibilità di erogare l’intera prestazione in forma di capitale; la possibilità di sganciarsi dalla linea garantita come opzione di default, in quanto offre altre tecniche di mitigazione del rischio sotto forma di strategie di investimento di tipo life-cycling”.
Sul fronte dell’offerta, però, Corbello non crede che gli operatori di mercato si affanneranno per lanciare i Pepp. “Non avranno molta intenzione di investire denaro per fare un prodotto che, in buona sostanza, è un doppione di quelli che già offrono alla clientela”, ha dichiarato, “con l’aggravante che i Pepp non possono recepire strutturalmente il Tfr… per cui se ho una posizione in un Pepp non la posso trasferire in un fondo pensione e viceversa”, ha aggiunto il presidente di Assoprevidenza. “Sono limitazioni non di poco conto, perché ai fini della portabilità questo mi costringe a valutare alternative solo fra un Pepp e un altro Pepp”. Il tutto senza considerare che, per i gestori, mettere a punto un Pepp prevede l’obbligo di proporlo anche in altri Paesi europei, con tutti i costi che ne derivano. Sul terreno estero, poi, i Pepp dei gestori italiani si metterebbero “in concorrenza anche con altri grandi nomi americani che si sono attivati per lanciare i loro Pepp nei Paesi europei meno previdenzializzati”: una battaglia che si sarebbe difficile da vincere. “A meno che non si faccia largo in Italia una pericolosa concorrenza di Pepp offerti da attori esteri, una calata degli unni che non vedo”, ha concluso Corbello, “dubito che gli operatori di mercato si affretteranno a proporli”.
Questo articolo è tratto dal numero di giugno 2022 del magazine We Wealth