La longevità media non dà cenno di rallentamenti: l’attesa di vita media a 65 anni nel 1920 era di 12 anni, oggi è di 21 anni e per il 2060 di 24 anni. Ma i nostri sistemi di welfare e pensionistici sono stati costruiti per un altro mondo e oggi non sono più sostenibili
Per costruire una rendita integrativa di mille euro al mese, un trentenne deve investire poco meno di 300 euro al mese, un quarantenne circa 500 euro, un 50enne 907 euro. I 60enni devono versare2.898 euro per 7 anni
Riscattare la laurea può essere un’alternativa a un fondo pensione solo quando il riscatto non serve ad anticipare il momento della pensione: in quei casi l’investimento garantito dai mercati azionari e obbligazionari è più attraente della rivalutazione dei contributi versati all’Inps, legata all’andamento dell’economia italiana
Allora Andrea, le tendenze demografiche delineate cosa spiegano?
Spiegano perché è dal 1992 che stiamo facendo riforme per tenere sotto controllo la spesa pensionistica. E perché dobbiamo andare in pensione sempre più tardi e con un assegno pubblico più basso. Nel 2019 sono nati 420.170 bambini. Cinquanta anni fa erano più del doppio. Al culmine del baby boom degli anni Sessanta erano oltre un milione. Il risultato? Oggi nel nostro Paese i giovani fino a 19 anni sono quasi 11 milioni, mentre gli over 60 sono più di 18 milioni. La longevità media non dà cenno di rallentamenti: l’attesa di vita media a 65 anni nel 1920 era di 12 anni, oggi siamo a 21 anni e per il 2060 si prevedono 24 anni! Ma i nostri sistemi di welfare e pensionistici sono stati costruiti per un altro mondo, quando c’erano molti più lavoratori che pensionati e il mondo del lavoro era ricco di stabili opportunità. Il problema non sta solo nel cambiamento della composizione demografica del nostro Paese, ma anche nella difficoltà di modificare equilibri di welfare che sono nati in altre epoche.
Per fare una sintesi: viviamo di più e dobbiamo accantonare di più. A che età si deve iniziare a pensare alla pensione?
Non è mai troppo presto! Il mondo della previdenza integrativa offre molte agevolazioni, alcune delle quali legate al tempo di permanenza nei fondi pensione. Non ci sono motivi per i quali un genitore non dovrebbe pensare di aprire un fondo pensione ai propri figli entro i primi 12 mesi di vita, anche se con poco. L’anzianità di iscrizione a un fondo pensione consente infatti di accumulare in breve tempo gli 8 anni necessari per poter chiedere delle anticipazioni, fino al 30% di quanto versato, per qualunque necessità. Lo stesso lasso temporale che consente di chiedere fino al 75% di quanto versato per acquistare o ristrutturare la propria abitazione o quella dei propri figli. Inoltre, trascorsi 35 anni dall’iscrizione ad una forma di previdenza integrativa è possibile beneficiare della minima tassazione della prestazione finale, pari al 9%: più vantaggiosa del 15% di base. Fare un fondo pensione ai neonati naturalmente consente di sfruttare al meglio il rendimento dei mercati nei decenni: anche piccoli versamenti, dopo un accumulo di 60 anni, possono aiutare ad ottenere una pensione di scorta. Ai genitori che stanno pensando “ma come, devo pure pagargli la pensione?” si può anche proporre un piano in due tempi: fino all’epoca dell’università ci pensano loro a versare qualche risparmio nel fondo pensione e poi “cedono il testimone” ai figli diventati lavoratori. Se quanto detto vale per i neonati, naturalmente, vale a maggior ragione per tutti coloro, adulti, che ad oggi non hanno ancora iniziato un piano di integrazione pensionistica.
Certamente saranno tuttavia in pochi coloro che accedono a una forma di previdenza integrativa da neonati. Per tutti gli altri, come costruire un piano finanziario? Qual è l’asset mix ideale?
I fondi pensione, rispetto a qualunque altra strategia di investimento finanziario o immobiliare, hanno la caratteristica di offrire una rendita vitalizia sulla quale poter fare affidamento per tutta la vita. Come in qualunque investimento, la linea di investimento prescelta per un fondo pensione deve essere coerente con il proprio orizzonte temporale (il tempo della pensione) e con la propensione al rischio. Quando si parla di previdenza integrativa, il rischio non risiede nelle oscillazioni mensili dei mercati, ma nella differente performance che si può ottenere dopo dieci, trenta o cinquanta anni di investimento. Facciamo un esempio: un risparmiatore avverso al rischio, che va in ansia ogni volta che sente i telegiornali parlare di crollo delle borse, potrebbe legittimamente scegliere una linea di investimento a basso rischio. Ma deve essere consapevole che, maggiore è il tempo mancante alla pensione, maggiore è la probabilità che una linea a rischio medio o alto faccia meglio di una a basso rischio. In questo senso, la sicurezza di quel lavoratore si traduce in un costo: la tranquillità porta in dote una minore rendita integrativa all’epoca della pensione. Ecco perché soprattutto i giovani, che hanno più tempo di fronte a sé e minori risorse da dedicare, dovrebbero farsi aiutare dal rischio, scegliendo linee di investimento bilanciate e azionarie. Sapendo che, all’avvicinarsi del momento della pensione sarebbe opportuno – per tutti – adottare strategie life cycle che progressivamente riducono il rischio.
Poniamo il caso che una persona che andrà in pensione nel 2030-2040-2050 voglia basarsi solo sulla previdenza pubblica: che aspettative di reddito avrà?
In primo luogo dipende dal tipo di lavoro: gli autonomi avranno pensioni più basse rispetto ai dipendenti. E poi dal numero di anni lavorati: con il sistema di calcolo contributivo il valore della pensione è direttamente legato alla nostra retribuzione e alla carriera. La Ragioneria Generale dello Stato definisce che per i prossimi decenni i tassi di sostituzione, pari al rapporto tra la pensione e lo stipendio, saranno destinati a scendere. Per il 2030, un lavoratore dipendente potrà attendersi tra il 60% ed il 71% della propria retribuzione. Un autonomo tra il 41% ed il 52%. Numeri ulteriormente destinati a scendere per chi andrà in pensione negli anni successivi.
Allora proviamo a fare qualche esempio pratico: come si può costruire una rendita vitalizia di mille euro al mese se si hanno oggi 30, 40, 50, 60 anni?
L’impegno richiesto dipende principalmente dall’età e dalla linea di investimento. Il valore del tempo appare chiaro guardando ai 30enni di oggi. Costruire una rendita integrativa di mille euro al mese comporta oggi un impegno di soli 276 euro al mese, ipotizzando il versamento in una linea di investimento 80% azionaria (Msci World) e 20% obbligazionaria (Jpm Emu). Tutti i valori sono reali, al netto di costi e fiscalità medi per un fondo pensione aperto, con il 50% di probabilità di stima. Con il crescere dell’età aumenta il versamento richiesto: se per un 40enne si parla di 497 euro, per un 50enne si sale a 907 euro. Per i 60enni il poco tempo rimasto per integrare la pensione rende le cifre naturalmente molto più rilevanti, sebbene il numero non debba trarre in inganno: si versano 2.898 euro per 7 anni e, per poi percepire 1.000 euro per almeno vent’anni.
Infine, ha senso riscattare gli anni di studio? In quali casi?
L’investimento necessario per riscattare la laurea può essere visto come un’alternativa a un fondo pensione solo quando il riscatto non serve ad anticipare il momento della pensione: in quei casi l’investimento garantito dai mercati azionari e obbligazionari è probabilmente più attraente della rivalutazione dei contributi versati all’Inps, legata all’andamento dell’economia italiana. In tutti gli altri casi è necessario invece effettuare un’analisi caso per caso, per capire in primo luogo se e di quanto si anticipi il momento della pensione in conseguenza del riscatto.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di gennaio 2021)
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