Fondi pensione e investimenti nell'economia reale

2.7.2018
Tempo di lettura: '
La riduzione della quota in titoli di stato detenuti dalle casse di previdenza complementareapre spazi per investimenti in infrastrutture sociali o sperimentare titoli obbligazionari garantiti dalla Cassa Depositi e Prestiti - Occorre attenzione e non incrementare il “rischio Italia”
I fondi pensione non esprimono una sviluppata propensione all'impiego domestico in titoli azionari e obbligazionari corporate sebbene trovino ampio utilizzo i titoli di Stato italiani
E' corretta la spinta volta a far maggiormente investire le forme complementari nell'economia reale, anche tramite la concessione di qualche agevolazione tributaria?
Un'affermazione che si sente costantemente ripetere -lo possiamo ormai considerare un vero e proprio mantra- riguarda l'opportunità che i fondi pensione complementari e le casse professionali aumentino l'impegno nel compiere investimenti a sostegno dello sviluppo del Paese. Nella comune vulgata questi impieghi sono ormai convenzionalmente e, diciamo la verità, piuttosto grossolanamente, denominati “investimenti nell'economia reale”. Si assume che essi si pongano in contrapposizione ad altra tipologia di collocamento patrimoniale, gli investimenti nell'economia finanziaria, in primis i titoli di Stato, quasi che essi appartengano alla sfera di un'economia virtuale. L'auspicato impegno in favore di impieghi “in economia reale”, per lo più da realizzarsi tramite strumenti che prevedono un risultato reddituale nel lungo o lunghissimo termine, muove dall'assunto che detti enti pensionistici siano investitori istituzionali di lungo periodo, privi, come tali di "ansia da prestazione" e capaci, quindi, di attendere, con serena pazienza, i tempi dilatati occorrenti, prima di conseguire risultati reddituali.
Occorre premettere che la definizione “manualistica” di investitori di lungo periodo risulta in sé e per sé corretta, ove impiegata in via generica. In particolare per i fondi pensione complementari italiani essa necessiterebbe di non poche precisazioni di segno opposto, in ragione delle peculiari caratteristiche dell'ordinamento nazionale di settore, argomento da affrontare più analiticamente in altra occasione. Va comunque detto subito che sembra eccessivamente semplicistico assimilare, sic e simpliciter, le casse professionali di primo pilastro, a iscrizione obbligatoria, funzionalmente intrinseche all'economia del Paese con i professionisti loro iscritti, con le forme complementari di secondo pilastro, a partecipazione volontaria, preposte, in via principale, a integrare le pensioni di base erogate dall'INPS. Concentrando in questa sede l'attenzione solamente sui fondi pensione, va riconosciuto che, in effetti, essi non esprimono una sviluppata propensione all'impiego domestico in titoli azionari e obbligazionari corporate (le rilevazioni statistiche al 31 dicembre 2017 della Covip, le quali prendono in considerazione anche la componente Oicr, pesano questa tipologia di investimento complessivamente intorno al 3%), sebbene trovino ampio utilizzo i titoli di Stato italiani (che rappresentano più del 26% delle attività).
E' allora corretta la spinta volta a far maggiormente investire le forme complementari nell'economia reale, anche tramite la concessione, com'è recentemente accaduto, in sede di legge di bilancio, di qualche agevolazione tributaria (successiva, peraltro, a un precedente, generalizzato, assurdo, inasprimento del- la fiscalità)? Si può dire di sì, sebbene sul punto occorra cautela: l'alta esposizione in titoli di Stato già concentra in capo ai fondi un forte impegno verso il Paese. Va poi osservato che la valutazione delle diverse forme in cui si articolano gli investimenti in “economia reale” (equity e obbligazioni corporate a parte – inseriti in mandati gestori o in OICR – essi si configurano quali fondi altermativi FIA), richiede processi di analisi di qualche complessità, a cui le strutture dei fondi, invero piuttosto fragili, sono scarsamente preparate. Vi è, tuttavia, una motivazione, di carattere sistemico, il principio di diversificazione dei rischi, che impone alle forme complementari un'estrema prudenza nella concentrazione domestica degli impieghi, siano essi titoli di Stato o azioni e obbligazioni corporate o investimenti alternativi. I fondi realizzano una tutela pensionistica accessoria, che si giustappone a una previdenza di base, in cui i lavoratori sono totalmente esposti al rischio Italia. Non dimentichiamo che il montante contributivo virtuale individuale, connaturato al metodo di calcolo della pensione, é annualmente rivalutato in ragione dell'andamento del Pil: la rivalutazione, cioè, risulta interamente soggetta al “dividendo Italia”.
Quanto da ultimo evidenziato appare un elemento chiave, da cui non si può prescindere, ma vi sono altri profili da considerare, tutt'altro che secondari. Il più significativo riguarda la circostanza che alcune tipologie di Fia, orientati a investire nella”economia reale”, oltre che illiquidi - ma questo sarebbe il meno - si configurano strutturalmente privi di redditività per un lungo periodo, sebbene suscettibili di conseguire anche importanti risultati a fine corsa. Questa caratteristica mal si concilia con un sistema di previdenza complementare a contribuzione definita, fortemente individuale e privo di elementi mutualistici, utilizzabile troppo spesso come un bancomat dai partecipanti e sempre più proiettato a essere, oltre che un presidio pensionistico, anche un ammortizzatore sociale personale nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato.
Tuttavia, “non tutto è perduto”: sul punto, però, occorre realismo: la contrazione nell'utilizzo di titoli di Stato domestici da parte dei fondi pensione (processo già rilevato dalla COVIP) amplia strutturalmente lo spazio per altri impieghi territoriali, senza dover inopportunamente incrementare il peso dell'Italia. Vi sono poi investimenti in infrastrutture sociali (sto pensando al comparto delle residenze per anziani, all'ospedaliero e al para-ospedaliero) o nel settore energetico o nell'immobiliare, i quali sono in grado di offrire rendimenti immediati e costanti nel tempo. Ove poi entità come la Cassa Depositi e Prestiti “costruisse” titoli obbligazionari garantiti, a ragionevole redditività, volti a finanziare concreti progetti infrastrutturali, si aprirebbero ulteriori prospettive interessanti, del tutto compatibili con il ruolo, le caratteristiche e i doveri delle forme complementari.
A cura di Sergio Corbello, Presidente di Assoprevidenza
Occorre premettere che la definizione “manualistica” di investitori di lungo periodo risulta in sé e per sé corretta, ove impiegata in via generica. In particolare per i fondi pensione complementari italiani essa necessiterebbe di non poche precisazioni di segno opposto, in ragione delle peculiari caratteristiche dell'ordinamento nazionale di settore, argomento da affrontare più analiticamente in altra occasione. Va comunque detto subito che sembra eccessivamente semplicistico assimilare, sic e simpliciter, le casse professionali di primo pilastro, a iscrizione obbligatoria, funzionalmente intrinseche all'economia del Paese con i professionisti loro iscritti, con le forme complementari di secondo pilastro, a partecipazione volontaria, preposte, in via principale, a integrare le pensioni di base erogate dall'INPS. Concentrando in questa sede l'attenzione solamente sui fondi pensione, va riconosciuto che, in effetti, essi non esprimono una sviluppata propensione all'impiego domestico in titoli azionari e obbligazionari corporate (le rilevazioni statistiche al 31 dicembre 2017 della Covip, le quali prendono in considerazione anche la componente Oicr, pesano questa tipologia di investimento complessivamente intorno al 3%), sebbene trovino ampio utilizzo i titoli di Stato italiani (che rappresentano più del 26% delle attività).
E' allora corretta la spinta volta a far maggiormente investire le forme complementari nell'economia reale, anche tramite la concessione, com'è recentemente accaduto, in sede di legge di bilancio, di qualche agevolazione tributaria (successiva, peraltro, a un precedente, generalizzato, assurdo, inasprimento del- la fiscalità)? Si può dire di sì, sebbene sul punto occorra cautela: l'alta esposizione in titoli di Stato già concentra in capo ai fondi un forte impegno verso il Paese. Va poi osservato che la valutazione delle diverse forme in cui si articolano gli investimenti in “economia reale” (equity e obbligazioni corporate a parte – inseriti in mandati gestori o in OICR – essi si configurano quali fondi altermativi FIA), richiede processi di analisi di qualche complessità, a cui le strutture dei fondi, invero piuttosto fragili, sono scarsamente preparate. Vi è, tuttavia, una motivazione, di carattere sistemico, il principio di diversificazione dei rischi, che impone alle forme complementari un'estrema prudenza nella concentrazione domestica degli impieghi, siano essi titoli di Stato o azioni e obbligazioni corporate o investimenti alternativi. I fondi realizzano una tutela pensionistica accessoria, che si giustappone a una previdenza di base, in cui i lavoratori sono totalmente esposti al rischio Italia. Non dimentichiamo che il montante contributivo virtuale individuale, connaturato al metodo di calcolo della pensione, é annualmente rivalutato in ragione dell'andamento del Pil: la rivalutazione, cioè, risulta interamente soggetta al “dividendo Italia”.
Quanto da ultimo evidenziato appare un elemento chiave, da cui non si può prescindere, ma vi sono altri profili da considerare, tutt'altro che secondari. Il più significativo riguarda la circostanza che alcune tipologie di Fia, orientati a investire nella”economia reale”, oltre che illiquidi - ma questo sarebbe il meno - si configurano strutturalmente privi di redditività per un lungo periodo, sebbene suscettibili di conseguire anche importanti risultati a fine corsa. Questa caratteristica mal si concilia con un sistema di previdenza complementare a contribuzione definita, fortemente individuale e privo di elementi mutualistici, utilizzabile troppo spesso come un bancomat dai partecipanti e sempre più proiettato a essere, oltre che un presidio pensionistico, anche un ammortizzatore sociale personale nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato.
Tuttavia, “non tutto è perduto”: sul punto, però, occorre realismo: la contrazione nell'utilizzo di titoli di Stato domestici da parte dei fondi pensione (processo già rilevato dalla COVIP) amplia strutturalmente lo spazio per altri impieghi territoriali, senza dover inopportunamente incrementare il peso dell'Italia. Vi sono poi investimenti in infrastrutture sociali (sto pensando al comparto delle residenze per anziani, all'ospedaliero e al para-ospedaliero) o nel settore energetico o nell'immobiliare, i quali sono in grado di offrire rendimenti immediati e costanti nel tempo. Ove poi entità come la Cassa Depositi e Prestiti “costruisse” titoli obbligazionari garantiti, a ragionevole redditività, volti a finanziare concreti progetti infrastrutturali, si aprirebbero ulteriori prospettive interessanti, del tutto compatibili con il ruolo, le caratteristiche e i doveri delle forme complementari.
A cura di Sergio Corbello, Presidente di Assoprevidenza