Trust, una definizione
Partiamo da una definizione: “Va innanzitutto ricordato che il trust – dice Contini – è un istituto non di diritto italiano. Se parliamo di trust testamentario, va precisato che, invece, il testamento è un atto di volontà del testatore disciplinato dal diritto domestico. E all’interno del testamento può essere indicata la volontà di istituzione di un trust post mortem. Ma sorge una questione non banale: se il testamento è carente di alcuni elementi per la costituzione del trust, la disposizione è impossibile da realizzare. Per questo scoraggio sempre l’istituzione del trust attraverso il testamento, e preferisco suggerire l’istituzione di un trust dormiente, ovvero costituito in vita e che viene citato nel testamento, in quanto soggetto che attraverso il suo trustee riceverà il conferimento del lascito testamentario. Con la morte, il trust dormiente riceve il legato del testatore e può incrementare il suo patrimonio”. Inoltre se il trust testamentario parte dalla morte, va stabilito chi lo esegue (occorre un esecutore testamentario? Se sì, vale la pena lasciare questo onere agli eredi?). Ciò detto, rileva che secondo l’articolo 549 del Codice civile, che vieta di porre condizioni sulla quota di legittima, la mera istituzione del trust è di per sé accettata.
Liceità e meritevolezza dell’oggetto del trust
“Posto che lo strumento rientri in pieno negli obiettivi di programmazione successoria, bisogna fare un’analisi tra ciò che in Italia è lecito disporre nel testamento e come il trust si pone rispetto a questa liceità – continua Contini – Se non lo si fa il rischio è di strutturare operazioni che possono finire sotto la lente della magistratura, anche penale, come già accaduto: perché va valutata con attenzione la meritevolezza dell’operazione, la sua liceità. La meritevolezza è tale se il trust è istituito per proteggere beni e persone, quindi se ha un senso economico e di tutela dei diritti; mentre lo strumento perde liceità se serve a diseredare un legittimario o a sottrarre beni ai creditori, per favorire alcuni ad altri. Può determinare un problema di contenzioso, che è complesso perché gioca sul bordo di più giurisdizioni. Allora la prima cosa da fare è definire l’obiettivo e renderlo compatibile con le norme imperative italiane”.
Insomma, conclude Contini, “il trust testamentario è uno strumento che ha dei grandi vantaggi ma va visto come un vestito di sartoria che va cucito addosso in base alla grandezza del patrimonio, al numero dei legittimari e ai luoghi in cui vivono”.
Dunque, con la bozza di circolare emanata dal Fisco durante l’estate cambia il trattamento fiscale del trust. “C’è stata una diatriba durata anni – spiega Cugnasca – Nel 2020 la Cassazione ha intrapreso una direzione chiara e nel corso dell’estate scorsa è stata emanata di conseguenza la bozza di circolare del Fisco. Fino a quel momento la dotazione dei beni del disponente al trust era soggetta a tassazione. Invece con il nuovo corso andremo ad applicare l’imposta di successione non al momento della dotazione ma quando il trustee assegnerà i beni ai beneficiari. Ma bisognerà essere attenti che nella vita del trust non ci siano atti che simulino l’assegnazione dei beni. Se un bene immobile viene assegnato in comodato gratuito vitalizio al beneficiario, potrebbe essere un problema, mentre sembra non esserci illeicità nel caso in cui il medesimo immobile venga affittato al beneficiario ad un canone di mercato”.
Il valore della consulenza fiscale
La bravura di chi seguirà i clienti sarà quella di evitare complicazioni in futuro. Tenendo anche conto delle novità normative. “La prassi dell’Agenzia è stata per anni quella di applicare le imposte al momento dell’attribuzione dei beni al trust – dice Cugnasca –; in futuro, invece, sulla scorta di quanto indicato dalla Cassazione, la tassazione avverrà solo al momento dell’attribuzione dei beni ai beneficiari: questo perché civilisticamente la creazione del trust viene configurata quale donazione a fattispecie progressiva, che inizia con la dotazione del trust e si perfeziona solo con l’assegnazione dei beni ai beneficiari”.
È un’interpretazione più logica e conforme al diritto italiano, perché l’incremento di ricchezza si realizza per il beneficiario nel momento in cui questo riceve i beni; ma non risolve tutti i problemi. “Anzi – precisa Cugnasca –la circolare del Fisco non ha chiarito l’aspetto forse più importante di tutti, ossia come regolare i rapporti tra i trust già tassati “all’ingresso” con la nuova interpretazione. Cosa ne è delle operazioni già fatte? L’imposta già pagata sarà definitiva? Oppure sarà considerata un acconto di quella da pagare all’atto di assegnazione dei beni? Oppure ancora dovrà essere chiesta a rimborso? E poiché la tassazione sulla successione potrebbe cambiare e il trust sviluppa la sua funzione su un orizzonte di lunghissimo periodo, ieri magari si è pagato il 4% e magari tra 15 anni l’aliquota sarà il 25%. Il che potrebbe voler dire rivalutare completamente l’intera operazione di creazione del trust, perché ad esempio il beneficiario che non possiede la liquidità sufficiente potrebbe essere costretto a disfarsi di aziende e immobili per assolvere il proprio obbligo fiscale”.