La trasparenza fiscale nel wealth management

16.11.2021
Tempo di lettura: '
La recente implementazione della direttiva Dac6 ha portato gli intermediari finanziari e, per la prima volta, i consulenti (commercialisti, notai e avvocati) a segnalare alle autorità fiscali i meccanismi transfrontalieri potenzialmente aggressivi. La direttiva si inserisce in un contesto di totale trasparenza fiscale dei contribuenti nei confronti del fisco
Lo scambio automatico di informazioni fra amministrazioni fiscali dei vari Paesi è declinato sotto diverse forme. Sicuramente la più conosciuta e diffusa è il Crs (Common reporting standard) di matrice Ocse, unitamente al suo omologo americano Fatca (Foreign account tax compliance act), in forza dei quali le amministrazioni finanziarie della grande maggioranza degli Stati del mondo si scambiano i dati relativi a conti e depositi bancari intrattenuti da individui residenti in altri Stati aderenti intestati direttamente o per il tramite di veicoli societari o altri schemi (tipicamente i trust e le fondazioni). Nel 2020 sono stati scambiati automaticamente i dati di 75 milioni di conti per un totale di 9 mila miliardi di euro fra più di 100 giurisdizioni (fonte Ocse).
Attualmente sono sette le direttive europee in materia di cooperazione amministrativa nel settore fiscale, che hanno introdotto l'obbligo per le amministrazioni dei vari Stati di raccogliere determinate informazioni, archiviarle e scambiarle con gli altri Stati potenzialmente interessati periodicamente. A marzo di quest'anno, è stata approvata l'ultima in ordine di tempo, ovvero la direttiva Dac7, che da una parte obbliga i gestori delle piattaforme digitali a comunicare i redditi percepiti dai venditori/clienti attivi sulle loro piattaforme, dall'altra allarga e rafforza le disposizioni in materia di scambio di informazioni e cooperazione amministrativa tra gli Stati Ue.
Attualmente sono sette le direttive europee in materia di cooperazione amministrativa nel settore fiscale, che hanno introdotto l'obbligo per le amministrazioni dei vari Stati di raccogliere determinate informazioni, archiviarle e scambiarle con gli altri Stati potenzialmente interessati periodicamente. A marzo di quest'anno, è stata approvata l'ultima in ordine di tempo, ovvero la direttiva Dac7, che da una parte obbliga i gestori delle piattaforme digitali a comunicare i redditi percepiti dai venditori/clienti attivi sulle loro piattaforme, dall'altra allarga e rafforza le disposizioni in materia di scambio di informazioni e cooperazione amministrativa tra gli Stati Ue.
All'inizio di quest'anno, si è aggiunto il primo scambio di informazioni relativo ai meccanismi transfrontalieri potenzialmente utilizzabili ai fini di una pianificazione fiscale aggressiva ai sensi della Dac6 (Directive on administrative cooperation n. 2018/822/Ue).
Anche la Dacc6 nasce in ambito Ocse come risposta dell'Ue alla Azione n. 12 (Mandatory disclosure rules) del progetto Beps volto a colpire i meccanismi transnazionali tesi a trasferire gli utili imponibili verso regimi tributari favorevoli o che hanno come effetto quello di ridurre le imposte esigibili nei confronti dei contribuenti, ovvero aggirare lo scambio di informazioni automatiche ai sensi del Crs. Si tratta solitamente di schemi messi in atto da alcune imprese multinazionali per ridurre il carico fiscale a livello di gruppo oppure per ottenere vantaggi fiscali indebiti.
Tuttavia, se lo scopo originario era quello di combattere gli aggiramenti delle norme fiscali da parte delle grandi corporation, il risultato è che anche i contribuenti persone fisiche ne sono colpiti e con loro tutta l'industria del wealth management.
Difatti, i meccanismi per ricadere nell'ambito della direttiva devono prevedere uno o più elementi distintivi, cosiddetti hallmarks, cioè “indici di rischio di elusione o evasione fiscale” (art. 2, c. 1, lett. f), D.lgs. n. 100/2020), che si dividono in generici e specifici. Tutti i primi e alcuni dei secondi devono inoltre soddisfare il cosiddetto main benefit test, ovvero la circostanza che il meccanismo abbia come scopo principale un potenziale vantaggio fiscale rispetto ai vantaggi extra fiscali. Premesso che la quantificazione dei vantaggi extra fiscali è un esercizio alquanto aleatorio, la genericità della definizione può portare a includere nel novero dei meccanismi diversi strumenti finanziari, fra cui quelli che permettono il tax deferral, come le polizze vita, i trust e i fondi di investimento, in particolare quelli di private equity. Questi ultimi infatti sono spesso collocati in giurisdizioni a bassa tassazione e strutturati in modo minimizzare il carico fiscale sui proventi, segnatamente le ritenute in uscita.
Inoltre, la Dac6 introduce per la prima volta un'inversione del paradigma sinora adottato dalle amministrazioni finanziarie sotto almeno due aspetti. Il primo riguarda il profilo predittivo della segnalazione, ovvero la comunicazione avviene prima che il meccanismo sia attuato (più precisamente entro 30 giorni dalla messa a disposizione dello schema oppure da quando è stata fornita la consulenza). Il secondo riguarda la potenzialità del risparmio di imposta senza entrare nel merito della sua legittimità o liceità, o persino se non sia sterilizzato da altre disposizioni, ad esempio, la tassazione degli utili per trasparenza ai sensi della Controlled foreign company (Cfc). La verifica è lasciata agli operatori, che sono tenuti a segnalare l'operazione alle amministrazioni finanziarie, nel caso dell'Italia all'Agenzia delle entrate. Fra questi si annoverano gli intermediari finanziari (banche, fiduciarie, sim, sgr, ecc.) e per la prima volta i consulenti, quali avvocati, notai e commercialisti, nonché i contribuenti stessi qualora non intervenga un intermediario europeo o l'intermediario non fornisca evidenza al contribuente di avere proceduto alla comunicazione.
Risulta evidente che il rapporto di fiducia fra cliente e proprio consulente viene fortemente minato, posto che il primo avrà il timore che il secondo possa segnalare l'operazione alle autorità fiscali. Le uniche eccezioni riguardano ipotesi marginali, ovvero la tutela del segreto professionale (che dovrebbe essere la regola e non l'eccezione, come ad esempio in Lussemburgo) o il rischio di autoincriminazione.
Non a caso la dottrina ha criticato la normativa in quanto va oltre i principi di proporzionalità e di coerenza. Difatti, sinora le informazioni che alimentano le banche dati delle amministrazioni finanziarie sono servite a individuare fattispecie elusive o evasive. La Dac6 inverte il paradigma sinora adottato, ribaltando sugli intermediari e sui contribuenti l'onere delle comunicazioni di operazioni potenzialmente elusive o evasive tramite nuovi adempimenti, che comportano ulteriori costi, procedure e soprattutto minano da una parte il rapporto fra consulente e cliente e dall'altra la privacy dei cittadini. Quest'ultima già fortemente limitata dalla mole di informazioni che confluiscono nell'anagrafe tributaria e nelle altre banche dati in possesso dell'amministrazione pubblica.
In ambito Ocse, solo l'Unione europea si è spinta fino a tanto. Per altro, la direttiva lascia un ampio margine di discrezionalità agli Stati membri nell'implementare le misure attuative all'interno del proprio ordinamento creando ulteriore complessità e disparità di trattamento. Ad esempio, l'Italia è stata fra gli Stati che hanno adottato la direttiva in modo più estensivo e rigido, per contro, il Regno Unito, ora fuori dalla Ue, si è limitato alla misura più blanda possibile
Anche la Dacc6 nasce in ambito Ocse come risposta dell'Ue alla Azione n. 12 (Mandatory disclosure rules) del progetto Beps volto a colpire i meccanismi transnazionali tesi a trasferire gli utili imponibili verso regimi tributari favorevoli o che hanno come effetto quello di ridurre le imposte esigibili nei confronti dei contribuenti, ovvero aggirare lo scambio di informazioni automatiche ai sensi del Crs. Si tratta solitamente di schemi messi in atto da alcune imprese multinazionali per ridurre il carico fiscale a livello di gruppo oppure per ottenere vantaggi fiscali indebiti.
Tuttavia, se lo scopo originario era quello di combattere gli aggiramenti delle norme fiscali da parte delle grandi corporation, il risultato è che anche i contribuenti persone fisiche ne sono colpiti e con loro tutta l'industria del wealth management.
Difatti, i meccanismi per ricadere nell'ambito della direttiva devono prevedere uno o più elementi distintivi, cosiddetti hallmarks, cioè “indici di rischio di elusione o evasione fiscale” (art. 2, c. 1, lett. f), D.lgs. n. 100/2020), che si dividono in generici e specifici. Tutti i primi e alcuni dei secondi devono inoltre soddisfare il cosiddetto main benefit test, ovvero la circostanza che il meccanismo abbia come scopo principale un potenziale vantaggio fiscale rispetto ai vantaggi extra fiscali. Premesso che la quantificazione dei vantaggi extra fiscali è un esercizio alquanto aleatorio, la genericità della definizione può portare a includere nel novero dei meccanismi diversi strumenti finanziari, fra cui quelli che permettono il tax deferral, come le polizze vita, i trust e i fondi di investimento, in particolare quelli di private equity. Questi ultimi infatti sono spesso collocati in giurisdizioni a bassa tassazione e strutturati in modo minimizzare il carico fiscale sui proventi, segnatamente le ritenute in uscita.
Inoltre, la Dac6 introduce per la prima volta un'inversione del paradigma sinora adottato dalle amministrazioni finanziarie sotto almeno due aspetti. Il primo riguarda il profilo predittivo della segnalazione, ovvero la comunicazione avviene prima che il meccanismo sia attuato (più precisamente entro 30 giorni dalla messa a disposizione dello schema oppure da quando è stata fornita la consulenza). Il secondo riguarda la potenzialità del risparmio di imposta senza entrare nel merito della sua legittimità o liceità, o persino se non sia sterilizzato da altre disposizioni, ad esempio, la tassazione degli utili per trasparenza ai sensi della Controlled foreign company (Cfc). La verifica è lasciata agli operatori, che sono tenuti a segnalare l'operazione alle amministrazioni finanziarie, nel caso dell'Italia all'Agenzia delle entrate. Fra questi si annoverano gli intermediari finanziari (banche, fiduciarie, sim, sgr, ecc.) e per la prima volta i consulenti, quali avvocati, notai e commercialisti, nonché i contribuenti stessi qualora non intervenga un intermediario europeo o l'intermediario non fornisca evidenza al contribuente di avere proceduto alla comunicazione.
Risulta evidente che il rapporto di fiducia fra cliente e proprio consulente viene fortemente minato, posto che il primo avrà il timore che il secondo possa segnalare l'operazione alle autorità fiscali. Le uniche eccezioni riguardano ipotesi marginali, ovvero la tutela del segreto professionale (che dovrebbe essere la regola e non l'eccezione, come ad esempio in Lussemburgo) o il rischio di autoincriminazione.
Non a caso la dottrina ha criticato la normativa in quanto va oltre i principi di proporzionalità e di coerenza. Difatti, sinora le informazioni che alimentano le banche dati delle amministrazioni finanziarie sono servite a individuare fattispecie elusive o evasive. La Dac6 inverte il paradigma sinora adottato, ribaltando sugli intermediari e sui contribuenti l'onere delle comunicazioni di operazioni potenzialmente elusive o evasive tramite nuovi adempimenti, che comportano ulteriori costi, procedure e soprattutto minano da una parte il rapporto fra consulente e cliente e dall'altra la privacy dei cittadini. Quest'ultima già fortemente limitata dalla mole di informazioni che confluiscono nell'anagrafe tributaria e nelle altre banche dati in possesso dell'amministrazione pubblica.
In ambito Ocse, solo l'Unione europea si è spinta fino a tanto. Per altro, la direttiva lascia un ampio margine di discrezionalità agli Stati membri nell'implementare le misure attuative all'interno del proprio ordinamento creando ulteriore complessità e disparità di trattamento. Ad esempio, l'Italia è stata fra gli Stati che hanno adottato la direttiva in modo più estensivo e rigido, per contro, il Regno Unito, ora fuori dalla Ue, si è limitato alla misura più blanda possibile
Altre piazze finanziarie come la Svizzera, Liechtenstein, gli Usa e i paradisi caraibici non hanno introdotto misure di disclosure analoghe a quelle contenute nella Dac6. Di conseguenza, è verosimile che i contribuenti europei guarderanno con sempre maggiore interesse a queste piazze per una consulenza che possa potenzialmente essere oggetto di scambio di informazione se fornita da operatori europei. Ad esempio, gli intermediari svizzeri non sono tenuti a effettuare alcuno scambio di informazioni sui meccanismi aggressivi posto che la Svizzera non fa parte dell'Unione Europea. L'obbligo potrebbe scattare qualora vi fosse un nexus con la Ue, ad esempio, se un'istituzione finanziaria avesse una stabile organizzazione o una filiale in uno Stato membro. Tuttalpiù, l'intermediario o il consulente svizzero potrebbe offrire assistenza al contribuente, che si deve attivare per segnalare lui stesso lo schema alla propria amministrazione finanziaria. Per contro, l'operatore svizzero può incorrere nel rischio di violazioni penali se fornisce alle amministrazioni di Stati esteri informazioni relative a clienti. Analoghe considerazioni valgono per gli operatori collocati in altri Stati extra Ue.
È difficile immaginare che le informazioni messe a disposizione ai sensi della Dac6 possano sfociare in accertamenti massivi. Rimane tuttavia un effetto deterrente nei confronti di tutti quegli schemi che possono ricadere nell'ambito di applicazione della direttiva.
È difficile immaginare che le informazioni messe a disposizione ai sensi della Dac6 possano sfociare in accertamenti massivi. Rimane tuttavia un effetto deterrente nei confronti di tutti quegli schemi che possono ricadere nell'ambito di applicazione della direttiva.