Scudo fiscale: riconosciuto il rimborso delle somme versate

21.5.2019
Tempo di lettura: 2'
Con due sentenze depositate il 6 marzo 2019, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ribalta le decisioni appellate. E nel caso specifico di scudo fiscale annullato dal Fisco, riconosce e riafferma il principio della capacità contributiva
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con motivazioni del tutto condivisibili, ha riconosciuto il diritto di un contribuente al rimborso delle somme versate invano per l'adesione ad uno scudo fiscale successivamente contestato e annullato dall'Agenzia delle Entrate. Nel 2002 l'appellante aveva infatti aderito, pagando la relativa imposta straordinaria, al cosiddetto “scudo fiscale” introdotto dal Dl 350/2001 al fine di incentivare il rientro in Italia delle attività detenute all'estero con innegabili benefici per i contribuenti.
Dopo diversi anni arriva però l'amara sorpresa: nel 2010, infatti, l'Agenzia delle Entrate notifica allo stesso contribuente una serie di accertamenti con cui disconosce l'intera operazione di rimpatrio (considerata fittizia) e per l'effetto contesta un maggior reddito rideterminato in via presuntiva.
Dopo aver provveduto a definire la pretesa impositiva, versando all'Erario le somme richieste, il contribuente decide di ricorrere alla giustizia tributaria per richiedere la restituzione di quanto prima versato a titolo d'imposta straordinaria (non scomputata dall'imposta richiesta con gli accertamenti fiscali) considerando che quest'ultima non ha in realtà determinato gli effetti previsti dalla normativa sullo scudo fiscale.
Il giudizio in primo grado si conclude però con due pronunce sfavorevoli che negano qualsiasi diritto al rimborso e ciò nel presupposto che la dichiarazione di adesione al condono costituisce una scelta non ritrattabile dal contribuente.
Con le sentenze numero 1022/14/2019 e 1023/14/2019, depositate entrambe il 6 marzo 2019 (qui in commento), la Commissione tributaria regionale della Lombardia ribalta le decisioni appellate evidenziando come, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di primo grado, la fattispecie in giudizio non riguardi un'ipotesi di ritrattazione della dichiarazione di adesione allo scudo fiscale bensì un'ipotesi di nullità dell'intera procedura che, in quanto disconosciuta dal Fisco, non ha mai potuto produrre i suoi effetti. Per fare un parallelismo con gli istituti tipici del diritto privato, sembra quindi che i giudici aditi decidano di assimilare la fattispecie de qua a un'ipotesi di nullità riconoscendo conseguentemente ciò che prevede per tale ipotesi la normativa civilistica, ossia, la restituzione delle prestazioni eseguite.
È interessante notare che i giudici arrivano a tale conclusione non solo in virtù della corretta riqualificazione civilistica della fattispecie dedotta in giudizio, ma anche in virtù della rilevanza dei principi costituzionali chiamati in gioco, primo fra tutti, il principio di capacità contributiva. Nelle pronunce in commento viene, infatti, rilevato che, per il medesimo fatto indice di capacità di contributiva, il contribuente aveva concorso alle pubbliche spese per ben due volte:
(i) una prima volta, in misura ridotta, per effetto dell'adesione allo scudo fiscale;
(ii) una seconda volta, in misura piena, a seguito dell'acquiescenza prestata all'azione accertatrice successivamente intrapresa.
Ebbene i giudici devono aver compreso che la mancata restituzione delle somme versate in sede di condono avrebbe consentito una situazione di doppia imposizione e illegittimo arricchimento a favore dell'Erario in violazione del principio di capacità contributiva.
Si tratta quindi di pronunce che, per fortuna, riconoscono e riaffermano un principio fondamentale.
Dopo diversi anni arriva però l'amara sorpresa: nel 2010, infatti, l'Agenzia delle Entrate notifica allo stesso contribuente una serie di accertamenti con cui disconosce l'intera operazione di rimpatrio (considerata fittizia) e per l'effetto contesta un maggior reddito rideterminato in via presuntiva.
Dopo aver provveduto a definire la pretesa impositiva, versando all'Erario le somme richieste, il contribuente decide di ricorrere alla giustizia tributaria per richiedere la restituzione di quanto prima versato a titolo d'imposta straordinaria (non scomputata dall'imposta richiesta con gli accertamenti fiscali) considerando che quest'ultima non ha in realtà determinato gli effetti previsti dalla normativa sullo scudo fiscale.
Il giudizio in primo grado si conclude però con due pronunce sfavorevoli che negano qualsiasi diritto al rimborso e ciò nel presupposto che la dichiarazione di adesione al condono costituisce una scelta non ritrattabile dal contribuente.
Con le sentenze numero 1022/14/2019 e 1023/14/2019, depositate entrambe il 6 marzo 2019 (qui in commento), la Commissione tributaria regionale della Lombardia ribalta le decisioni appellate evidenziando come, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di primo grado, la fattispecie in giudizio non riguardi un'ipotesi di ritrattazione della dichiarazione di adesione allo scudo fiscale bensì un'ipotesi di nullità dell'intera procedura che, in quanto disconosciuta dal Fisco, non ha mai potuto produrre i suoi effetti. Per fare un parallelismo con gli istituti tipici del diritto privato, sembra quindi che i giudici aditi decidano di assimilare la fattispecie de qua a un'ipotesi di nullità riconoscendo conseguentemente ciò che prevede per tale ipotesi la normativa civilistica, ossia, la restituzione delle prestazioni eseguite.
È interessante notare che i giudici arrivano a tale conclusione non solo in virtù della corretta riqualificazione civilistica della fattispecie dedotta in giudizio, ma anche in virtù della rilevanza dei principi costituzionali chiamati in gioco, primo fra tutti, il principio di capacità contributiva. Nelle pronunce in commento viene, infatti, rilevato che, per il medesimo fatto indice di capacità di contributiva, il contribuente aveva concorso alle pubbliche spese per ben due volte:
(i) una prima volta, in misura ridotta, per effetto dell'adesione allo scudo fiscale;
(ii) una seconda volta, in misura piena, a seguito dell'acquiescenza prestata all'azione accertatrice successivamente intrapresa.
Ebbene i giudici devono aver compreso che la mancata restituzione delle somme versate in sede di condono avrebbe consentito una situazione di doppia imposizione e illegittimo arricchimento a favore dell'Erario in violazione del principio di capacità contributiva.
Si tratta quindi di pronunce che, per fortuna, riconoscono e riaffermano un principio fondamentale.