Sempre più frequentemente, i diversi Governi, a quasi ogni legge di Bilancio, ripropongono la rideterminazione del costo fiscale delle partecipazioni non quotate (e dei terreni) ex art. 5 della L. n. 448/2001. Tale possibilità sarà contenuta anche nella legge di Bilancio 2023 . Fra l’altro, una novità del ddl. di bilancio 2023, è che dispone la rideterminazione del costo delle quote anche con riferimento alle partecipazioni quotate ovvero negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione.
Come noto, la modalità di rideterminazione del costo fiscale delle partecipazioni si sostanzia in due fasi: (i) redazione e giuramento di un’apposita perizia giurata di stima da parte di un soggetto abilitato; (ii) versamento da parte del contribuente dell’imposta sostitutiva ad oggi pari al 16%. Con la rivalutazione, in sostanza, se una persona fisica cede una partecipazione di cui ha rivalutato il costo fiscale, può ottenere l’azzeramento della plusvalenza da assoggettare a tassazione nel momento della cessione, trasformando il carico fiscale gravante sulla cessione da quello ordinario a quello ridotto. Quest’ultimo corrisponde all’imposta sostitutiva liquidata per la rideterminazione del costo fiscale.
Ciò premesso, di fondamentale importanza è lo schema operativo con il quale il socio cederà la partecipazione nonché le modalità. Difatti, come noto, ci sono molteplici possibilità con le quali un socio può “uscire” da una società e “cedere” la propria partecipazione, ad esempio: cessione diretta, cessione indiretta, recesso, conferimenti di partecipazioni, scambi di partecipazioni, conferimenti in newco e successive fusioni dirette/inverse, ecc. A seconda dello schema operativo adottato, la liceità fiscale della cessione della partecipazione previamente rivalutata da parte della persona fisica può essere messa in discussione da parte dell’Agenzia delle Entrate (nel presente scritto deve intendersi che può essere disconosciuta dall’Agenzia la rivalutazione effettuata, in sostanza). Senza pretesa di esaustività, il presente scritto effettua una rapida esposizione su quali condotte siano ritenute fiscalmente lecite da parte del Fisco e quali no.
In primis, sicuramente, come appare lampante, la legittimità fiscale della cessione di partecipazioni preventivamente rivalutate ai fini fiscali non è da porre in discussione se la cessione risponde effettivamente ad una logica realizzativa verso terzi, essendo proprio questo il fine della norma. Ad esempio, se un socio persona fisica A possiede una partecipazione totalitaria in una srl, la rivaluta, e successivamente cede la quota a B, persona fisica terza, alcuna contestazione di illiceità fiscale (e quindi nessun disconoscimento della rivalutazione effettuata) potrà essere mossa dall’Agenzia delle Entrate poiché A si spossessa totalmente della partecipazione che deteneva nella srl ed il pagamento a lui corrisposto deriva da risorse di Beta che nulla hanno a che fare direttamente con la srl.
Ci possono essere casi in cui tuttavia la cessione di partecipazioni preventivamente rivalutate si inserisce, più o meno indirettamente, in ampi schemi operativi che potrebbero far ritenere l’operazione come abusiva ex art. 10-bis l. 212/2000. Sono i casi in cui l’operazione produce nel suo complesso un effetto distorsivo in cui si utilizza una norma (per l’appunto l’art. 5 della l. n. 448/2001, introdotto per operare sui redditi consistenti in plusvalenze) per agevolare redditi di altra natura, come redditi di capitali che i soci persone fisiche conseguono quando è la società partecipata a liquidare la partecipazione del socio, riducendo in misura corrispondente il proprio patrimonio sociale. Ad esempio:
a) operazioni circolari di cessione indiretta a sé stessi con trasformazione di dividendi in plusvalenze sulle partecipazioni
Un’operazione si considera circolare quando è caratterizzata da atti posti in essere che non determinano una modificazione significativa dell’assetto giuridico economico preesistente del contribuente. Ad esempio: socio persona fisica A rivaluta la partecipazione che ha in alfa srl e la cede ad una società beta srl di cui è a sua volta socio al 100%. beta srl rileverà quindi un debito vs. A e, così facendo, A incasserà le somme da beta srl dando alle stesse somme vesti formali di corrispettivo rilevante al fine del calcolo della plusvalenza imponibile (la cui imponibilità è stata però azzerata a seguito della rivalutazione) in luogo di quella sostanziale di distribuzione utili riducendo il carico fiscale. A differenza del caso precedente però, qui non c’è alcun spossessamento effettivo ed è evidente che è beta srl, tramite la riduzione del proprio patrimonio netto, a liquidare la partecipazione ad A.
In casi del genere, l’inesistenza di una sostanza economica e di valide ragioni extrafiscali non marginali comporta quindi possibili contestazioni di abuso del diritto ex. art. 10-bis L. 212/2000 da parte della Agenzia delle Entrate e la conseguente ripresa a tassazione con disconoscimento della rivalutazione. In dottrina si ritiene che una possibile valida ragione extra fiscale non marginale di un’operazione così strutturata potrebbe essere rappresentata dalla volontà della persona cedente di frapporre una holding fra sé stessa e la partecipata (con magari anche futura scissione della partecipata del ramo immobiliare a favore della holding, se presente). Ovviamente tale ragione appare tanto più solida quanto più saranno le partecipazioni della persona fisica cedute alla holding oppure quando la società a cui la persona fisica cede la partecipazione possiede già a sua volta partecipazioni in altre società.
b) operazione che trasforma artificiosamente un “recesso tipico” in un “recesso atipico”
In estrema sintesi, il “recesso tipico” corrisponde all’annullamento delle partecipazioni con conseguente riduzione del patrimonio netto della società mentre il “recesso atipico” corrisponde all’acquisto delle azioni o quote da parte degli altri soci o terzi. Ciò premesso, il caso scuola di operazione che trasforma artificiosamente un “recesso tipico” in un “recesso atipico” è il seguente:
– uno – o più – soci persone fisiche rivalutano la partecipazione che intendono cedere e la cedono ad una società (tendenzialmente newco) partecipata dagli altri soci della società la cui partecipazione è oggetto di cessione;
– successivamente la newco viene incorporata mediante fusione inversa nella società di cui ha acquisito la partecipazione.
L’Agenzia delle Entrate ha definito tale schema operativo non lecito dal punto di vista fiscale. Nello specifico, il Fisco fonda la propria motivazione non tanto sulla mancanza di sostanza economica dell’operazione, bensì fonda le proprie ragioni basandosi sul fatto che l’operazione sopracitata è caratterizzata da un sistema giuridico artificioso il quale comporta un numero superfluo di negozi giuridici e ciò non sarebbe coerente con le normali logiche di mercato ed è idoneo solamente a far conseguire un vantaggio fiscale indebito ai soci che non intendono proseguire l’attività d’impresa. Difatti, per il Fisco, i soci che intendono cedere la partecipazione potrebbero semplicemente esercitare il diritto di recesso a favore dei soci superstiti. A parere di autorevole dottrina, di per sé tale orientamento dell’Agenzia è condivisibile, tuttavia, è da ritenersi valido esclusivamente con riguardo a ristretti casi, nei quali si verificano i seguenti presupposti:
• esiste “a monte” un presupposto giuridico che permetta ai soci di esercitare il diritto di recesso da codice civile/clausole statutarie;
• esista “a valle” un presupposto economico che comporti l’effettiva identità di risultato fra i due modi di agire (ovvero che vi siano gli stessi effetti sostanziali finali fra recesso e cessione della partecipazione ad una newco e la successione fusione inversa di quest’ultima nella operativa: stessi soci e stesse % di partecipazione).
Purtroppo, il Fisco, sembra non aver totalmente recepito le contestazioni dottrinali e, ancora oggi, vi è il rischio che pretenda di riqualificare l’operazione stessa così come sopra strutturata.
c) operazioni di acquisto di azioni proprie
A rigor di logica, l’approccio interpretativo dell’Agenzia delle Entrate esposto sopra può portare l’Amministrazione Finanziaria a ritenere elusive anche le operazioni in cui il recesso del socio avvenga tramite la cessione della propria partecipazione direttamente alla società partecipata, la quale acquista azioni proprie. Nella risposta ad interpello n. 89 del 8.2.2021, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto abusiva la condotta di rivalutazione della partecipazione da parte del socio ed il successivo acquisto di azioni proprie da parte delle società, in quanto idonea a nascondere una distribuzione di dividendi nei confronti della persona fisica che deteneva le partecipazioni cedute. Ciò in virtù – secondo l’ufficio – di un utilizzo di negozi giuridici privi di sostanza economica che generano così un risparmio di imposta rispetto al semplice recesso del socio. Similmente al caso precedente, le conclusioni a cui è giunta l’Agenzia sono state criticate da parte della dottrina, la quale ha evidenziato che la tesi dell’Amministrazione pare condivisibile solamente quando l’acquisto di azioni proprie è subordinato al successivo annullamento delle stesse azioni da parte della medesima società, essendo proprio questo il caso in cui si realizza quella riduzione di patrimonio netto della società partecipata a favore dei soci. È comunque da rilevare che la giurisprudenza in casi simili (rif. per esempio sentenza ctp Padova n. 48/2019) ha accolto il ricorso presentato dal contribuente, rilevando che l’ufficio accertatore non ha portato prove in grado di dimostrare la “sostituzione” dell’acquisto di azioni proprie con la distribuzione di dividendi, anche in considerazione del fatto che la suddivisione degli utili riguarda l’intera compagine societaria, e non invece i singoli soci che cedono le proprie azioni alla medesima entità a cui partecipano.
A seguito di tale breve analisi, ciò che è evidente è che una operazione di rivalutazione e cessione di partecipazioni necessita specifico approfondimento caso per caso in quanto operazioni mal strutturate possono presentare dei notevoli rischi fiscali.