In sintesi, la nuova disposizione, che ha durata per cinque periodi d’imposta ed è irrevocabile e rinnovabile, consente la deduzione, a partire dal periodo d’imposta 2021, del 110% dei costi di ricerca e sviluppo relativi ad alcune categorie di beni immateriali. È inoltre previsto un meccanismo di “recapture” dei costi che consente di recuperare la maggiorazione del 110% dall’ottavo periodo d’imposta precedente a quello nel quale l’intangibile è coperto da un titolo di privativa industriale. Nello specifico, la norma introduce un regime agevolativo con riferimento ai costi di ricerca e sviluppo sostenuti dai soggetti titolari di reddito d’impresa in relazione ai brevetti industriali (tra questi sono ricompresi anche quelli per invenzione, le invenzioni biotecnologiche e i relativi certificati complementari di protezione), al software protetto da copyright, ai disegni e modelli utilizzati direttamente o indirettamente nello svolgimento dell’attività d’impresa. In merito si precisa che il comma 10 della legge di Bilancio 2022 ha innalzato dal 90% al 110% l’ammontare deducibile e ha escluso dal perimetro di applicazione della norma i marchi e il know-how.
Possono accedere all’agevolazione i soggetti titolari di reddito d’impresa “investitori”, ovvero i soggetti titolari del diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali agevolabili, i quali realizzano gli investimenti in attività rilevanti nell’ambito della propria attività, sostenendone i relativi costi e assumendone i rischi. Le attività di ricerca e sviluppo devono essere finalizzate alla creazione e allo sviluppo delle categorie di beni agevolabili e esercitate anche mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ovvero con università o enti di ricerca e organismi equiparati.
Anzidetta deducibilità potenziata si sostituisce al precedente meccanismo agevolativo, ovvero il regime di detassazione dei beni immateriali Patent Box, strumento che negli ultimi anni ha rappresentato una delle principali leve per finanziare la ricerca.
Il regime Patent Box, introdotto dall’articolo 1, commi da 37 a 45 della legge 190/2014, prevedeva un sistema opzionale, con durata quinquennale, che consentiva la detassazione al 50% (la percentuale era del 30% nel 2015 e del 40% nel 2016) della quota parte di reddito di impresa ascrivibile all’utilizzo diretto, cioè per la produzione di beni e servizi commercializzati sul mercato, o indiretto, mediante concessione in licenza a soggetti terzi, di beni immateriali tutelati o tutelabili. Inizialmente, le categorie agevolabili erano cinque: software protetto da copyright, brevetti, marchi di impresa, disegni e modelli giuridicamente tutelabili e know-how, ossia processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili. Per le opzioni esercitate dal 2017, i marchi sono stati esclusi dal regime agevolato.
Il regime Patent Box si fondava, in estrema sintesi, sulla quantificazione del beneficio, computato attraverso la redazione del cosiddetto conto economico figurativo del ramo d’azienda afferente al bene immateriale agevolato, che l’impresa traeva dal possesso e dall’utilizzo del bene immateriale rispetto a quanto sarebbe derivato da un’attività svolta senza quest’ultimo.
A far data dal 22 ottobre 2021, data di entrata in vigore del dl 146/2021, non è, quindi, più possibile optare per i regimi disciplinati dalle precedenti norme (i commi 37-45, articolo 1 della legge 190/2014, e l’articolo 4 del dl 34/2019).
(Articolo scritto in collaborazione con Arianna Borriello, Senior Consultant presso EY)