Patent box: dall'alto gradimento all'alto tradimento

Aldo Bisioli
Aldo Bisioli
4.11.2021
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Novità in arrivo su un beneficio fiscale che molto ha contribuito a sostenere gli investimenti privati italiani. Ma le modalità di transizione non sembrano le migliori
L'ultimo lustro - a prescindere dallo stato di emergenza ancora in corso, e dalle conseguenti misure di allentamento della riscossione - ha visto un legislatore fiscale particolarmente benevolo nei confronti del mondo imprenditoriale italiano, specie di quello dedito a coltivare in ambito domestico l'attività di ricerca e sviluppo, peraltro in duplice forma: premiando con un credito d'imposta, da un lato, l'investimento in sé (anche quello rivelatosi un “buco nell'acqua”) e detassando parzialmente, dall'altro, il maggior reddito riferibile a taluni cespiti (marchi, brevetti, software, etc.) ottenuti a esito di tale attività (la famigerata disciplina del “patent box”).

Non solo: consentendo il cumulo dei due benefici.

Maniche troppo larghe, si dirà, ma in mancanza di massicci investimenti pubblici (sinora, s'intende: il Pnrr vedrà e provvederà, ovviamente) quelli privati restano, di fatto, il principale motore di crescita della nostra economia (specie in presenza di una domanda asfittica e di una liquidità immensa, ma stagnante).

Dunque, lo stesso legislatore fiscale (per la precisione, si tratta di un decreto-legge che dovrà essere discusso e convertito dal parlamento) ha inopinatamente ravvisato, così parrebbe, tale larghezza e ha quindi messo mano all'intera disciplina.

Numerose le critiche già mosse da vari autorevoli commentatori, così come da Confindustria e da Assonime, con l'invito a riconsiderare se non i tempi, almeno gli obiettivi e il fatidico regime transitorio, dove solitamente si annidano sperequazioni e ingiustizie di vario tipo.
L'esito sarà inevitabilmente di natura compromissoria, per cui è meglio lasciare ai posteri (e ai postumi in bilancio) l'ardua sentenza.
Quello che qui interessa commentare è il metodo e non il merito.
Sul fronte formale, nulla da eccepire: c'è un governo in carica, atto a legiferare d'urgenza e spetta ovviamente al parlamento, attesa la sua sovranità, approvare, bocciare, modificare etc.
Sul fronte sostanziale, innanzitutto una premessa: innumerevoli volte abbiamo ascoltato, a vari livelli istituzionali, della necessità di un rapporto fisco-contribuente improntato alla lealtà, alla trasparenza e alla buona fede.

Veniamo, in particolare, alla trasparenza: non sembra più tollerabile, almeno a chi scrive, che il tenore letterale di una rubrica normativa reciti “Semplificazione della disciplina del patent box”, per poi introdurre, inequivocabilmente e contrariamente alla rubrica stessa, l'abrogazione della disciplina in questione, per sostituirla con un nuovo regime opzionale che, in molti casi, si rivelerà (come dicono a Roma) “una sola” (con la o aperta).

La trasparenza imporrebbe, forse, di mostrare più affetto verso una comunicazione più “schietta” e rispettosa dell'interlocutore (il contribuente).
Capisco bene, il tutto è da ricondurre a fisime verbali, come pure che imporre tasse (o, il che equivale, ridurre benefici fiscali) generi malcontento, e occorra quindi “smussare” la comunicazione; ma sarebbe auspicabile, ancora una volta, un metodo più ispirato al dialogo paritario.
Accettando, invece, gli “indoramenti” linguistici, si finisce per rimanere semi-indifferenti anche di fronte ad altri tipi di iniziative sul fronte fiscale: ad esempio, il disegno di legge, sempre di matrice governativa, che, tra l'altro, prevede che le imprese che hanno rivalutato, ad esempio, l'avviamento d'azienda pagando (solo) il 3% l'anno scorso, possono sempre godersi i relativi benefici, a condizione però di pagare un “piccolo” supplemento di viaggio, pari, al massimo, al 16%: più di 5 volte rispetto a quanto “promesso” dallo stesso legislatore.
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Laureato in Economia aziendale con il massimo dei voti presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, dal 1997 svolge l’attività presso lo studio Biscozzi Nobili, in qualità di socio dal 2003. È iscritto all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano dal 1992. Revisore contabile dal 1999, ora Revisore Legale. Specializzato in fiscalità d’impresa.

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