We Wealth ha intervistato Christian Montinari, Partner (dottore commercialista) responsabile del dipartimento italiano di diritto tributario dello Studio Legale DLA Piper
E invero, una simile circostanza non è di poco conto, alla luce dell’indotto che i grandi club e i grandi sportivi professionisti riescono a generare nella comunità: ad esempio, secondo alcune stime, il solo gioco del calcio nel nostro Paese genera un indotto economico di oltre 15 miliardi, ed entrate fiscali pari a circa 1 miliardo di euro, con un coinvolgimento di oltre 40.000 risorse retribuite.
In questi termini, si può affermare che l’intervento dello Stato nel mondo dello sport, attraverso strumenti di agevolazione fiscale, diventa fattore (diretto e indiretto) assai interessante per numerose categorie di soggetti: imprenditori, broker, sportivi, amministrazioni comunali e, non da ultimo, tifosi.
Ciò considerato, We Wealth ha intervistato Christian Montinari, Partner dello Studio Legale DLA Piper, per fare il punto sugli aspetti principali che caratterizzano il regime fiscale agevolato previsto per gli sportivi professionisti.
La definizione di sportivi professionisti – così come previsto dall’art. 2, legge 23 marzo 1981, n. 91 – comprende non solo gli atleti, ma anche tutta una serie di soggetti che ruotano intorno al mondo sportivo (come gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici), che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso e con carattere di continuità. Si badi, però, che vi rientrano solo le discipline regolate dal CONI, per cui il regime ad hoc riservato agli sportivi professionisti riguarda solo coloro che esercitano le discipline rappresentate da dette federazioni, ossia calcio (serie A, B e C), pallacanestro (serie A1), ciclismo e golf; le altre categorie sportive, invece, dovrebbero poter beneficiare del regime agevolativo sugli impatriati in misura ordinaria alle stesse condizioni degli altri contribuenti. Questo assetto normativo è tuttavia destinato a cambiare a partire dal 1° gennaio 2023. Nell’ambito della c.d. riforma dello sport, la definizione di sportivo professionista è stata sostituita da quella di “lavoratore sportivo” (d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36). La nuova definizione è significativamente più ampia, in quanto (i) ricomprende sia gli sportivi professionisti sia gli sportivi dilettanti, (ii) non include il riferimento espresso alle sole discipline regolate dal CONI, (iii) non richiede che l’attività debba rispondere al requisito della “continuità”. La riforma impatta direttamente il regime degli impatriati (il riferimento espresso alla legge n. 91 del 2021 è stato infatti espunto dalla norma che ora parla di “rapporti di lavoro sportivo”). Per valutare quale sarà la reale e concreta portata della riforma, occorrerà tuttavia attendere la posizione interpretativa dell’Agenzia delle Entrate.
Circoscritto l’ambito soggettivo del regime, quali sono le agevolazioni previste dalla norma, e a che condizioni?
Il regime agevolato si applica al “lavoratore” che: a) trasferisce la propria residenza fiscale in Italia; b) non è stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegna a risiedere in Italia per almeno due anni; c) svolge l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano. Prima di tutto è interessante sottolineare che il regime specificamente previsto per gli sportivi professionisti, relativamente al quantum dell’agevolazione, non è allineato rispetto alla generalità degli impatriati. I redditi degli sportivi professionisti impatriati, infatti, concorrono a imposizione per il 50% del loro ammontare (in luogo del 70% previsto in via generalizzata), a prescindere dal Comune in cui l’impatriato decida di collocare la propria residenza fiscale (pertanto, non si applica la riduzione del 10% in caso di trasferimento della residenza nel Mezzogiorno). Non si applica nemmeno la riduzione del 10% dell’imponibile prevista in via generalizzata per i soggetti con almeno tre figli minorenni o a carico. Ancora, non è prevista la possibilità di optare per il prolungamento dell’agevolazione al quinquennio successivo. Si prevede, poi, il versamento di un contributo pari allo 0,5% della quota imponibile destinato a promuovere lo sport giovanile, i cui criteri e modalità tecniche di versamento sono individuati dal recente d.p.c.m. 26 gennaio 2021. Al di là di alcune limitazioni, si tratta di una normativa dalle grandi potenzialità, i cui effetti positivi sull’ecosistema sportivo sono già visibili.
Gli sportivi professionisti, soprattutto quando giocano ai massimi livelli di categoria, sono, per loro stessa natura, votati alla mobilità in funzione dell’offerta economicamente migliore. In questo senso, è assai frequente che il rapporto tra il club e il professionista si interrompa prima del previsto. Ebbene, poiché la disciplina che governa l’agevolazione in commento richiede un impegno dello sportivo a permanere in Italia per un periodo di tempo minimo, emergono criticità nell’ipotesi in cui il requisito di permanenza non venga rispettato?
Così come previsto in via generale per tutti gli impatriati, anche gli sportivi professionisti devono “impegnarsi” a risiedere in Italia per due anni per poter godere del regime agevolativo ad hoc. In caso di cessione all’estero dell’atleta prima che sia trascorso un biennio, essendo violato tale “impegno”, lo sportivo professionista – per es. il calciatore – decade dal regime degli impatriati. A rigor di logica, l’unico soggetto tenuto alla restituzione del beneficio “indebitamente” fruito sarebbe il calciatore; tuttavia, seguendo un approccio particolarmente rigoroso dell’Amministrazione finanziaria adottato in casi analoghi, quest’ultima potrebbe pretendere il versamento delle maggiori imposte non solo al calciatore (sostituito) ma anche al club (sostituto). La questione è poi particolarmente delicata quando la cessione anticipata è voluta proprio dal club di appartenenza, il quale ha beneficiato indirettamente del regime fiscale agevolato.
L’agevolazione prevista per gli sportivi professionisti si estende anche sui cd. Fringe benefits, dunque sui redditi che discendono dallo sfruttamento dei diritti di immagine e delle sponsorizzazioni?
La risposta è positiva, ma una puntuale analisi che tenga conto delle circostanze di fatto proprie di ciascun caso di specie è sempre necessaria. Come chiarito anche dall’Agenzia delle Entrate, tra i redditi di lavoro dipendente rientrano, a titolo di fringe benefits, anche le spese di vitto e alloggio sostenute dal club in favore dei giocatori non ancora in possesso di una propria abitazione, i premi erogati dagli sponsor al raggiungimento di determinati obiettivi, ecc. È invece più dubbia l’applicabilità del regime con riferimento ai redditi connessi a prestazioni rese al di fuori dei confini nazionali o ai compensi ricevuti per la partecipazione alle competizioni con la propria squadra nazionale, ammesso che in ogni caso deve risultare soddisfatto il requisito dell’esercizio prevalente dell’attività del professionista impatriato sul territorio italiano. Non del tutto limpida è anche la questione dell’applicabilità del regime ai redditi da sponsorizzazioni e, più in generale, a quelli connessi allo sfruttamento del diritto d’immagine dello sportivo, i quali – si ripete – per ricadere nell’agevolazione devono comunque soddisfare il requisito dell’esercizio prevalente dell’attività nel territorio italiano. Anche qui gli spazi per fruire dell’agevolazione dipendono da un’attenta pianificazione e analisi preventiva.
Quali sono i passi falsi che uno sportivo professionista che aderisce a questo regime dovrebbe evitare per ridurre al minimo il rischio di contrasti con il fisco?
I profili di incertezza sono molti e spesso risulta sfumata la linea di confine tra i redditi agevolati e quelli esclusi, soprattutto in considerazione della eterogeneità delle entrate degli sportivi professionisti. In aggiunta, l’applicazione del regime è strettamente legata alle specificità del caso concreto, per cui occorre un’attenta valutazione ex ante della posizione fiscale dello sportivo professionista. Per esempio, nel caso di sportivi residenti in Italia i cui redditi rivenienti dallo sfruttamento della propria immagine siano prevalentemente di fonte estera, potrebbe risultare più vantaggioso pagare le imposte sui redditi di lavoro dipendente integralmente in Italia, ma aderire, se è possibile, al regime dei c.d. neo-residenti con pagamento dell’imposta forfetaria pari a 100.000 euro annui. L’analisi fiscale è indispensabile.
Come noto, il percorso di uno sportivo professionista si caratterizza, tra le altre cose, per due fattori: gli elevati guadagni e la brevità della carriera. Ebbene, alla luce della sua esperienza, quali sono le strategie di investimento a cui uno sportivo professionista dovrebbe ricorrere per far fruttare nel lungo periodo i propri proventi e considerare anche la prospettiva del passaggio generazionale?
Anche in questo caso, poiché ogni patrimonio – specie se di notevole portata – ha specifiche esigenze, è consigliato procedere alla sua gestione su misura, affidandolo a figure professionali che, combinando alla consulenza finanziaria quella degli investimenti, servizi di contabilità, pianificazione del pensionamento, pianificazione legale, fiscale e immobiliare ecc., si occupano di organizzare e tutelare il patrimonio in base alle aspettative di ogni specifico cliente. Pur essendo impossibile fornire una risposta universalmente corretta, è fondamentale – già dai primi stadi della carriera – una pianificazione finanziaria improntata sulla diversificazione degli asset. Il patrimonio dello sportivo va gestito con una doppia ottica sia a lungo sia a breve termine, per cui la diversificazione deve avvenire su più livelli, combinando non solo asset aventi tra loro una bassa correlazione ma anche con un diverso orizzonte temporale. Alcuni strumenti molto efficaci per la gestione patrimoniale sono i trust, che possono essere declinati in modi diversi a seconda delle esigenze, e le polizze vita, che rientrano a pieno titolo all’interno degli strumenti di pianificazione finanziaria. Questi strumenti possono essere particolarmente efficienti anche nell’ottica del passaggio generazionale, tenendo conto che sono rari i casi in cui il reddito dello sportivo si mantiene agli stessi livelli anche quando cessa l’attività da “atleta”.
Sport e arte. Che rapporto esiste tra mondo dello sport e mondo del collezionismo da investimento? C’è una propensione, da parte degli sportivi professionisti, a fare investimenti in pleasure asset?
Si tratta di un trend consolidato e in continua crescita. Gli sportivi professionisti – specie se UHNWI – sono grandi fruitori (e spesso anche competenti intenditori) di pleasure assets, che possono assumere le forme più varie. La diffusione di strumenti innovativi quali i non-fungible tokens, rappresentativi di un’opera d’arte “sottostante” possono agevolare la circolazione di pleasure asset e rappresentare anche opportunità d’investimento, con un’attenzione particolare ai profili regolamentari e fiscali. Non va dimenticato, infine, che anche gli sportivi impatriati sono soggetti all’obbligo annuale di monitoraggio dei beni e investimenti detenuti all’estero. Questo aspetto può risultare decisivo per gli sportivi ad alta “mobilità” che mantengano interessi (e beni) in più Paesi.