Mentre la pandemia sembra avviarsi a conclusione, tra gli effetti collaterali che essa ci lascia in eredità, c’è il ridisegno della globalizzazione. A monte di questo ridisegno, cambiano le regole della fiscalità internazionale. La novità più dirompente è l’introduzione della global minimum tax al 15%: che ha un’incidenza non da poco sui modelli di business delle imprese (e per certi versi degli individui), finora abituate a localizzarsi nelle giurisdizioni fiscalmente più favorevoli. Ma ha effetto anche sulle politiche degli Stati, da sempre in competizione fiscale tra loro per attrarre soggetti e imprese ad alta capacità contributiva. È uno scenario ancora incerto, per muoversi all’interno del quale occorre pianificazione e prudenza.
Avvocato, come funziona il regime vigente di tassazione Usa per le imprese estere e cosa cambierebbe con la minimum tax?
Vale la pena ricordare che gli stati Usa adottano il principio della pre – senza economica (economic nexus) per la tassazione delle imprese costituite al di fuori del loro territorio, e determinano l’imponibile attraverso una formula basata sul rapporto tra vendite a clienti sul proprio territorio e fatturato totale dell’impresa. Di conseguenza le imprese italiane possono trovarsi esposte a obblighi fiscali federali anche se non insediate fisicamente in uno Stato, e su una base imponi – bile determinata attraverso criteri to – talmente diversi da quelli previsti dalla normativa fiscale italiana. Sul piano federale, l’adeguamento della normativa fiscale interna americana ai principi che del Pillar II che presiede all’introduzione della Global Minimum Tax comporterà l’eliminazione o un sostanziale ridimensiona – mento di numerosi benefici fiscali, quali ammortamenti straordinari e accelerati, crediti per attività di ricerca e sviluppo e parziale detassazione degli utili riferibili a cessioni all’estero di prodotti, servizi o tecnologia, con conseguente aumento della pressione fiscale interna. Gli Stati degli Usa, inoltre, non sono parte delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, che vincolano solo il governo federale, applicano autonomamente le proprie imposte sugli utili societari, e non prevedono il credito d’imposta quale meccanismo per l’eliminazione della doppia imposizione a livello statale.
L’eventuale adozione della global minimum tax avrebbe un impatto notevole anche su di esse: l’attuale imposta minima sugli utili esteri, fissata al 10,5%, potrebbe aumentare fino a circa il 18%, riducendo la loro competitività sui mercati internazionali.
Come suggerirebbe di agire allora alle imprese italiane in Usa per ottimizzare la propria fiscalità in vista di questi eventi?
La sfida consiste nel coordinare la fiscalità americana con quella complessiva di gruppo o applicabile alla casa madre italiana, in modo da ridurre il carico fiscale complessivo. Infine, è essenziale che aziende multinazionali italiane con filiali in paesi esteri e negli Usa, considerino l’impatto della normativa americana in materia di tassazione di controllate estere, che potrebbe riverberarsi sui soci “americani”, e, in ogni caso, anche al di fuori di questa specifica ipotesi, curino con attenzione il regime fiscale e la reportistica richiesta per operazioni tra la filiale Usa, la casa madre e le altre entità del gruppo, considerato che le sanzioni per eventuali errori o omissioni sono rilevanti e che i termini di prescrizione restano permanentemente sospesi fino all’integrale adempimento dei relativi obblighi dichiarativi.
La minimun tax ha l’effetto principale di eliminare i vantaggi che finora alcune giurisdizioni hanno garantito alle imprese e agli individui con grandi patrimoni. In generale, ritiene che la fiscalità Usa sia ancora interessante per imprese o Hnwi internazionali?
Per gli investitori internazionali e persone fisiche o famiglie titolari di matrice globale che dispongono di grossi patrimoni, gli Usa presentano tuttora grandi opportunità sul piano della pianificazione fiscale di tipo successorio, protezione del patrimonio e tutela della privacy. La normativa di diversi stati in materia di trust, infatti, consente di attuare progetti di pianificazione patrimoniale e famigliare molto sofisticati e efficienti.
Può farci un esempio?
I cosiddetti trust Usa non residenti, in particolare, consentono a investitori esteri di coniugare pianificazione patrimoniale e successoria con la protezione e gestione fiscalmente efficiente dei loro investimenti negli Usa (e, se del caso, a livello globale), mentre strutture fiduciarie ibride consentono a investitori e famiglie basate negli Usa di ottimizzare conservazione, gestione e progressivo passaggio del patrimonio a beneficio delle generazioni successive, limitando l’esposizione a imposta sulle successioni e donazioni e tutelando il patrimonio nei confronti di eventi esterni.
Ha una case history anche di un’azienda italiana che attraverso un’efficace strategia commerciale e di pianificazione fiscale sia riuscita ad affermarsi nel mercato Usa?
Certamente. Seguiamo alcune importanti aziende italiane, specie nel settore della meccanica di precisione e ad alta tecnologia, che hanno saputo espandersi nel mercato nordamericano attraverso operazioni di acquisizione e integrazione di aziende Usa nel proprio gruppo, crescendo così in maniera più rapida e incisiva nel mercato nordamericano e ponendo le basi per una crescita globale. In questo caso, la sfida consiste nell’integrazione nel gruppo della target americana, che presenta risvolti non solo di carattere legale e fiscale, spesso complessi data la profonda differenza tra il sistema giuridico americano e quello italiano, ma anche di natura culturale e imprenditoriale, e richiede un approccio che costituisca un ponte efficace tra i due sistemi e le due realtà.