- gli elementi che trasformano il conferimento di un bene in un trust in una condotta integrante il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte;
- il momento di integrazione del reato dal quale inizia a decorrere il relativo termine di prescrizione;
- i criteri per la determinazione del profitto del reato di sottrazione fraudolenta.
Il caso
Con ricorso avverso un’ordinanza con cui il Tribunale delle libertà di Rimini aveva rigettato della richiesta di riesame relativa a un decreto di sequestro emesso nei confronti di tre indagati, tra l’altro, di frode esattoriale, la Corte di Cassazione è stata chiamata ad esprimersi in relazione a un caso di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, realizzato mediante il trasferimento di beni in trust.
Uno dei tre indagati, infatti, subito dopo aver ricevuto una cartella esattoriale, aveva costituito e conferito in un trust alcuni immobili, poi trasferiti al beneficiario, così sottraendoli alla garanzia patrimoniale dell’erario, creditore di oltre 600mila euro.
Con l’ordinanza, in particolare, il Tribunale delle libertà, da un lato, aveva confermato il sequestro ritenendo i plurimi atti dispositivi realizzati successivamente alla notifica del debito esattoriale idonei a integrare il reato previsto dall’art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Dall’altro, in considerazione della natura unitaria della pluralità degli atti che avevano reso inefficace la procedura di riscossione coattiva, che il delitto si era perfezionato con l’ultimo di tali atti dispositivi. Considerato che il termine di prescrizione era iniziato a decorrere solo dalla data del trasferimento dei beni al beneficiario e non da quella del conferimento degli stessi dal disponente/debitore al trust, dunque, il reato non poteva ritenersi prescritto.
La decisione della Corte
In rigetto delle doglianze sollevate, le statuizioni del Tribunale delle libertà sono state integralmente confermate.
I giudici di legittimità, in primo luogo, dopo aver evidenziato che gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato “hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva”, hanno ritenuto pienamente condivisibili le conclusioni esposte nell’ordinanza oggetto di impugnazione. Confermando, così, che gli atti dispositivi realizzati dall’indagato avevano integrato il reato di cui all’art. 11 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Condivisibile ed esente da censure, del pari, è stato giudicato quanto statuito in ordine all’ipotizzata prescrizione del reato. La Cassazione ha ribadito, infatti, che in considerazione della natura unitaria della pluralità di atti realizzati, per individuare il momento di realizzazione della fattispecie di reato non può che farsi riferimento all’ultimo. Momento che, nel caso di specie, non è coinciso con il trasferimento del bene al trust da parte del disponente/debitore ma con quello successivo in cui il bene fraudolentemente sottratto al pagamento delle imposte è stato trasferito al beneficiario.
L’ordinanza, da ultimo, ha fornito indicazioni sulla determinazione del profitto del reato di sottrazione fraudolenta. Dopo aver premesso che la confisca diretta non concerne il solo profitto del riciclaggio e autoriciclaggio, ma si estende anche ai beni scaturiti dalla sostituzione, quanto al reato in questione la corte ha affermato che, a prescindere dall’applicabilità del “principio secondo cui il profitto del reato è rappresentato dal valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti della Amministrazione finanziaria per le imposte evase e non già dal debito tributario rimasto inadempiuto” in tale valore certamente rientrano “anche gli eventuali frutti e ciò a meno di dimostrare che il valore dei beni è già sufficiente a coprire il debito tributario”.