Oggetto del contendere era una polizza assicurativa “mista” caso vita e morte, stipulata dal defunto padre sulla vita del figlio e avente (i) il contraente quale beneficiario caso vita (i.e. nel caso di sopravvivenza di entrambi alla scadenza del contratto), e (ii) gli eredi dell’assicurato quali beneficiari caso morte (i.e. nel caso di decesso dell’assicurato, e pertanto di sopravvivenza del padre, nel corso della durata del contratto).
E sino a qui niente di nuovo se non fosse che la polizza prevedeva però un’ulteriore disposizione: in caso di premorienza del contraente padre rispetto all’assicurato figlio, prima della scadenza del contratto, l’assicurato avrebbe preso il posto del contraente deceduto (nel prosieguo verrà denominata più semplicemente come “disposizione”).
Fatto sta che (purtroppo) il padre premuore al figlio e quest’ultimo subentra, in forza della disposizione, nella posizione di contraente di polizza continuando ad esserne anche assicurato.
Gli eredi pretermessi non condividono questo subentro e reclamano la sottoposizione a collazione dell’asset polizza nella massa ereditaria del defunto padre. Ma la polizza non è cessata – gli viene controbattuto – e l’assicurato figlio subentra nella posizione di contraente e non in quella di beneficiario, a cui invece spetta ex art. 1923, comma 2, cod.civ., l’obbligo di collazione sui premi di polizza al ricevimento della prestazione in caso di decesso.
Ciò nonostante, la Cassazione riconosce comunque gli estremi della collazione ex art. 741 cod.civ. in capo all’assicurato subentrante nella posizione del contraente.
La natura giuridica del subentro
L’aspetto che maggiormente rileva non è tanto relativo alle modalità di applicazione della collazione, ma va trovato a monte: infatti, nell’ambito dell’assicurazione sulla vita in favore di terzi discendenti (e non sulla vita del terzo, attenzione al passaggio, e non in favore di terzi non discendenti), il beneficiario di polizza è tenuto a conferire nel patrimonio ereditario il valore dei premi pagati in vita dal de cuius (c.d. collazione) qualora, cumulativamente, (i) sia un discendente, figlio o coniuge, (ii) accetti l’eredità, e (iii) non sia da ciò esonerato (rectius, dispensato).
Ma dai fatti di causa, non si stava procedendo alla liquidazione della prestazione assicurativa al beneficiario, ma ad un subentro, quindi perché focalizzarsi sulla collazione e non su qualcosa di diverso ? E poi, l’assicurato subentrante non era beneficiario.
Iniziamo dal principio cercando di indagare sulla natura giuridica della Disposizione tra atto unilaterale con effetti post mortem oppure mortis causa.
La disposizione di polizza quale atto unilaterale con effetti post mortem
L’ipotesi in questione non è molto distante da quella dell’atto di designazione del beneficiario di polizza, anch’esso con effetti post mortem (così come confermato dalla Cass.Civ.Ss.Uu. n. 11421/2021).
Infatti, se si volesse percorrere un tale ragionamento, è come se attraverso la disposizione l’assicurato figlio è designato quale beneficiario del bene polizza subentrante in qualità di nuovo contraente. In un tale scenario, l’asset polizza non confluisce nel relictum, insieme agli altri cespiti che formano il patrimonio ereditario, ma bensì nel donatum (essendo la designazione non credendi causa, ma per l’appunto donandi causa, così come in tutti i casi di contratto a favore del terzo).
Da un punto di vista degli effetti, troverebbe applicazione l’obbligo di collazione da parte del beneficiario subentrante così come in ogni altra situazione ordinaria di assicurazione sulla vita in favore del terzo (il padre che designa suo figlio quale beneficiario di polizza). E da un punto di vista fiscale, l’asset polizza non confluirebbe nella base imponibile dell’imposta di successione e, pertanto, consentirebbe il subentro processato dall’impresa di assicurazione senza dover richiedere la preventiva esibizione della dichiarazione di successione ex art. 48 Tusd (visto che l’asset polizza non rientra nel relictum essendo “fuori” successione).
La disposizione di polizza quale atto unilaterale mortis causa
Tale ipotesi è invece quanto ci si sarebbe ragionevolmente aspettato (anche in assenza della disposizione): ossia un subentro mortis causa – salvo presentazione, questa volta, della dichiarazione di successione ex art. 48 Tusd all’impresa di assicurazione – con annessa inclusione dell’asset polizza nel relictum all’apertura della successione oltre che nella base imponibile della medesima imposta. E ciò in quanto la disposizione sarebbe da inquadrare quale atto unilaterale mortis causa e, pertanto, l’assicurato figlio identificabile quale legatario subentrato nel legato polizza in qualità di nuovo contraente.
Da un punto di vista degli effetti, eccepire l’obbligo di collazione in una tale circostanza da parte degli eredi pretermessi in capo al figlio contraente subentrante, pur se discendente ed erede accettante, non colpisce nel segno. L’asset polizza è infatti ricevuto a mezzo legato e pertanto mortis causa e non donandi causa quando l’originario contraente era ancora in vita. E la collazione, come si è brevemente anticipato, ha invece ad oggetto il conferimento dei beni ricevuti in vita donandi causa e non di quelli mortis causa rientranti nel relictum.
Quindi gli eredi pretermessi, non potendo far rientrare l’asset polizza nel donatum per effetto della collazione, si sarebbero dovuti accontentare di vederselo come legato nel relictum, ed eventualmente esercitare l’azione di riduzione per far valere la lesione della legittima rispetto, in ogni caso, ai premi pagati in polizza ex art. 1923, comma 2, cod.civ.
La posizione della Cassazione
Né le parti in causa né i tre giudici che si sono susseguiti nei diversi gradi di giudizio hanno sollevato (neanche obiter dicta) la classificazione della disposizione quale atto unilaterale mortis causa: l’istituto ritenuto incontrovertibilmente applicabile è stata la collazione. E, pertanto, qualifica la disposizione in questione gioco-forza quale atto unilaterale con effetti post mortem, si potrebbe obiettare (delle due, l’una).
La Cassazione non lo afferma chiaramente ma stabilisce che nell’assicurazione sulla vita del terzo discendente (come quella di cui si discute, stipulata dal padre sulla vita del figlio), il fatto che questo ottenga l’indennizzo o lo assicuri ai propri familiari, dopo la propria morte, fa rientrare la struttura in questione nella sub specie del contratto a favore del terzo, come se fosse (questo lo aggiungo io) un’assicurazione in favore del terzo discendente.
A detta dei giudici, infatti, il figlio subentrante va anche riconosciuto (i) quale beneficiario “caso di vita” che ottiene l’indennizzo in caso di sua sopravvivenza alla scadenza del contratto; e (ii) quale beneficiario caso “morte” che fa profittare della prestazione assicurativa i suoi eredi (quelli del figlio), in caso di decesso prima della scadenza del contratto.
Insomma è il figlio che “profitterà”, prima o poi, delle prestazioni assicurative ma in futuro e non al momento del subentro, si potrebbe replicare, in quanto la collazione si dovrebbe semmai far valere al momento del relativo incasso. Ma purtroppo non nella struttura di assicurazione in favore del terzo discendente e con la presenza della disposizione, in quanto ipotesi non molto diversa da quella in cui i premi sono pagati per conto di un terzo in cui la collazione è ben possibile poiché “avvicinabile all’adempimento di un obbligo altrui, al quale è, appunto, apparentato dall’art. 741 cod.civ.”, ma comunque entro i limiti della “minore somma tra l’ammontare dei premi pagati e il capitale, non potendo la collazione avere per oggetto che il vantaggio conseguito dal discendente.”
La natura del subentro, purtroppo, non può essere confermata in toto per le ragioni già brevemente esposte. Anche se non si può nascondere che si era abbastanza vicini: sarebbe infatti bastata una conferma in merito a come tale subentro dell’assicurato nella contraenza di polizza fosse stato processato: ex art. 48 Tusd oppure no ?
Perché in caso affermativo si sarebbe trattato di un subentro mortis causa, mentre in caso negativo si sarebbe potuto ragionevolmente ipotizzare un subentro iure proprio connesso alla qualifica della disposizione quale atto unilaterale con effetti post-mortem.
Ma tanto è …un’occasione mancata (ahimè) che avrebbe potuto aprire nuovi orizzonti alla pianificazione patrimonial-assicurativa.
À la prochaine !!!