Proprio questa, a ben vedere, è la ratio sottesa alla disposizione normativa: essa infatti nasce da una Raccomandazione comunitaria (Raccomandazione 94/1069/CE, adottata il 7 dicembre 1994), strumentale ad arginare il fenomeno in base al quale molte imprese sono spesso costrette a cessare la propria attività a causa di difficoltà, anche di natura fiscale, conseguenti alla successione dell’imprenditore.
Su tale norma si è di recente espressa la Corte Costituzionale (sentenza n. 120/2020, depositata in data 23/6/2020 ed in pari data pubblicata in Gazzetta Ufficiale) con dei commenti articolati e, sotto alcuni profili, potenzialmente allarmanti.
La Consulta, chiamata (a seguito di eccezione sollevata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna) a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’esclusione, dal novero dei beneficiari della norma, del coniuge, si è espressa negativamente (ritenendo sussistere diversa ratio tra la trasmissione dell’azienda a favore dei discendenti e quella a favore del consorte), purtuttavia cogliendo l’occasione per effettuare un’ampia analisi del disposto legislativo.
La Corte, dopo un’accurata disamina storica della norma, nata (come riconosciuto dallo stesso Legislatore) “al fine di facilitare il passaggio generazionale delle imprese a carattere familiare, che costituiscono […] una delle componenti essenziali della struttura produttiva del Paese”, rileva come tali finalità si rivelino generalmente eccedenti tanto rispetto al favor familiae previsto dall’art. 29 Costituzione (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”), quanto all’ambito di operatività dell’art. 41 Cost. (“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”).
Quello che la Corte sembra censurare non è tanto la disciplina agevolativa in sé, quanto il fatto che la stessa venga riconosciuta “prescindendo da qualsiasi considerazione delle dimensioni dell’impresa, di particolari congiunture economiche sfavorevoli o di indici dai quali sia desumibile la difficoltà dei successori nel corrispondere l’imposta”, sì da portare all’irragionevole conseguenza per cui “anche trasferimenti di grandi aziende, di rami di esse o di quote di società, che possono valere centinaia di milioni o addirittura diversi miliardi di euro, vengano interamente esentati dall’imposta, anche quando i beneficiari sarebbero pienamente in grado di assolvere all’onere fiscale”.
Enunciazioni, queste, che fanno sorgere più di qualche dubbio in merito alla futura permanenza del regime agevolativo, quantomeno relativamente alle imprese di grandi (o medio-grandi) dimensioni. Resta da valutare come (e se sia effettivamente opportuno) distinguere tra realtà che possano beneficiare dell’agevolazione e realtà escluse.
In ogni caso alcune delle affermazioni della Consulta, nella propria opera “critica” della norma, non sembrano pienamente condivisibili, in particolare ove essa sostiene che “l’esenzione in oggetto, azzerando completamente il carico fiscale, potrebbe anche costituire un disincentivo alla vendita, favorendo sì … la continuità della proprietà dell’impresa, ma all’interno della stessa comunità familiare: ciò, tuttavia, non è detto che assicuri, direttamente o indirettamente, un’idonea qualità manageriale”.
La prassi insegna come, in realtà, le decisioni in merito alla vendita a terzi vengano solitamente assunte in base a driver (tra i quali in primo luogo l’inadeguatezza dei discendenti a governare l’azienda, insieme alla convenienza economica dell’offerta) del tutto diversi rispetto all’esenzione fiscale del trasferimento infragenerazionale.
Ciò che, forse, la Corte non ha pienamente considerato è che il regime agevolativo di cui all’art. 3 comma 4 ter Testo Unico successioni e donazioni ha – ed ha avuto – l’innegabile merito di contribuire alla diffusione della “cultura” della pianificazione in vita del passaggio generazionale (anche attraverso l’adozione di adeguati assetti di governance), con benefici non solo di natura fiscale nel trasferimento azienda-patrimonio, ma soprattutto sotto il profilo della tutela della continuità aziendale, a vantaggio dell’intero sistema economico.