Le autorità di San Marino avevano condannato il soggetto per il reato di autoriciclaggio dato che aveva trasferito denaro depositato su un mandato fiduciario su conti di una banca inglese, giustificando l’operazione con l’acquisto di un immobile
Proprio per questo era stata chiesta la cooperazione giudiziaria all’Italia per porre in essere la confisca dei beni italiani dell’imprenditore
Il caso
Un imprenditore di San Marino era stato condannato per il reato di autoriciclaggio dato che aveva trasferito denaro depositato su un mandato fiduciario su conti di una banca inglese, giustificando l’operazione con l’acquisto di un immobile. Secondo le autorità di San Marino l’atto aveva come obiettivo quello di trasformare (riciclare) il denaro. Avendo svuotato i conti a San Marino, l’Autorità ha dunque attivato una richiesta di cooperazione giudiziaria per l’esecuzione della confisca dei beni in Italia che risultano essere di proprietà dell’imprenditore. La misura in un primo momento era stata disposta, senza problemi, da un giudice italiano. Solo in un secondo momento il tutto è stato impugnato davanti alla Corte di cassazione.
Il ricorso
L’imprenditore ha lamentato:
- Il fatto che il giudice italiano avesse considerato irrilevante il fatto che la fattispecie di autoriciclaggio sia stata introdotta nell’ordinamento italiano dopo il fatto.
- E il fatto che i reati contestati erano stati dichiarati in parte estinti grazie alla prescrizione.
- I soldi erano stati usati per godimento personale
La decisione
I giudici della Corte di cassazione hanno dichiarato inammissibile, su tutta la linea, il ricorso e hanno confermato la sentenza precedente, condannando l’imprenditore. Questi hanno tra l’altro anche sottolineato come il reato non poteva considerarsi estinto, dato che la sentenza sammarinese di condanna contiene un accertamento su un fatto che era ritenuto definitivo. E il giudice italiano deve consideralo come tale, rilevando unicamente che “il fatto – presupposto del reato di autoriciclaggio – sia un reato secondo l’ordinamento penale italiano”, come è avvenuto.
I giudici hanno infine anche precisato, in merito all’ultimo punto contestato, che questo non può essere considerato vero dato che si tratta di consistenti trasferimenti di danaro su conti esteri, che provengono da reati commessi dallo stesso soggetto “avvenuti non per fini di mera utilizzazione o di godimento personale, bensì per ostacolarne concretamente l’identificazione della origine delittuosa grazie all’utilizzo di strumenti di schermo, quali il mandato fiduciario”.
E dunque i giudici hanno deciso come la condotta del soggetto non possa non essere punita e che la misura decisa da San Marino dovevesse essere applicata ai beni dell’imprenditore in Italia