Multinazionali e non solo: venti di pace (fiscale)

Aldo Bisioli
Aldo Bisioli
26.5.2021
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Se da una parte si sta andando verso un accordo internazionale sulla tassazione minima delle imprese multinazionali, probabilmente è troppo presto per sancire l'inizio di una nuova era di concertazione in ambito fiscale. In questo scenario, come si colloca la riforma fiscale italiana?
Sull'atlantico soffiano venti di pace fiscale: dal muro dell'amministrazione Trump (anche) nei confronti delle iniziative europee per tassare i giganti del web si è passati al ponte dell'amministrazione Biden gettato per favorire, finalmente, un dialogo che dovrebbe portare, auspicabilmente fra poche settimane (il prossimo luglio a Venezia è fissato un G20 sotto la presidenza italiana), a un accordo internazionale sulla tassazione minima delle imprese multinazionali.
Il segretario al tesoro Janet Yellen ha infatti avanzato una proposta di tassazione al 15%, subito accolta con favore da Germania, Francia e Italia. In particolare, il tesoro americano ha dichiarato che “l'architettura internazionale delle tasse deve essere stabilizzata, il terreno di gioco globale deve essere giusto e occorre creare un clima nel quale i paesi lavorano assieme per mantenere le rispettive basi imponibili e per assicurare che il sistema impositivo globale sia equo e attrezzato a rispondere ai bisogni dell'economia del 21esimo secolo”.

Probabilmente è troppo presto per sancire l'inizio di una nuova era di concertazione in ambito fiscale, ma forse non è azzardato osservare che – al di là della pandemia in fase di superamento – resta una tendenza storica, determinata o solo accelerata dalla digitalizzazione dell'economia, secondo la quale i cosiddetti beni intangibili (primi fra tutti, i byte dei computer) stanno prendendo il sopravvento su quelli tangibili (settore agro alimentare a parte), quanto meno in termini di ritmo di crescita, rendendo la questione fiscale troppo “fluida” e “apolide” per esser affrontata in modo sovranista.

Proprio il metodo Trump (il muro, simboleggiato dalla barriera costruita lungo il confine con il Messico) ha dimostrato che senza concertazione si ottiene solo una corsa al ribasso nella tassazione (ogni Stato vuole attrarre contribuenti con incentivi, sconti, regimi di favore), mettendo a repentaglio le politiche fiscali di tutti gli Stati che ancora credono nella “mano pubblica”.

Non per nulla, uno dei capisaldi del piano fiscale Biden (intitolato “The made in America tax plan”) è “Ending the race to the bottom around the world”, una corsa, per l'appunto, che finisce per danneggiare tutti, e non solo gli Stati Uniti.
In questo ambito si colloca perfettamente la riforma fiscale italiana, che dovrebbe vedere la luce in un disegno di legge delega, di matrice governativa, ispirato alla (ardua) sintesi che la commissione bicamerale si appresta a redigere dopo una lunga serie di audizioni di tecnici e parti sociali.

Tutti d'accordo sui principi cardine, ovvero equità, semplicità, pur mantenendo la progressività (per le persone fisiche): difficile dissentire (chi non vuole la pace nel mondo?), ma suona un po' come la quadratura del cerchio.

La cosiddetta “modernità” forse richiederebbe di partire invece dal fondo: tassare sì, ma con quali priorità di spesa? Dovremmo forse copiare (con i dovuti aggiustamenti) il piano Biden, che prima spiega come spenderà i quattrini pubblici (si veda a pagina 1 del rapporto: infrastrutture, energia verde, assistenza ed altre priorità) e poi come reperirli.

Da questo punto di vista, il più “moderno” sembra il segretario del partito democratico: che piaccia o no l'imposta di successione, il suo discorso è molto americano: con la denatalità che abbiamo, stiamo (noi italiani) per scomparire, ergo bisogna puntare sui giovani, innanzitutto trasferendo su di loro risorse economiche pubbliche, da reperire, secondo lui, mediante un'imposta patrimoniale sui ricchi.

A me, personalmente, piace il metodo: parlare prima di giovani, e poi di tasse: se siamo d'accordo sul fine, una buona sintesi, anche sui mezzi, prima o poi si troverà (anche senza una patrimoniale).
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Laureato in Economia aziendale con il massimo dei voti presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, dal 1997 svolge l’attività presso lo studio Biscozzi Nobili, in qualità di socio dal 2003. È iscritto all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano dal 1992. Revisore contabile dal 1999, ora Revisore Legale. Specializzato in fiscalità d’impresa.

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