I patti in vista del divorzio sono nulli
“Ne è conferma l’ordinanza 11012 del 26 aprile 2021 – dice Di Nella – con la quale la Cassazione ha ribadito la propria rigorosa posizione: i patti in vista del divorzio sono radicalmente nulli, non si possono redigere neppure al momento della separazione per determinare il contenuto del divorzio”. E questo anche in contrasto con un contesto normativo che evolve e si modernizza, con il diritto di famiglia che ormai riconosce l’entità familiare fondata sullo stato di figlio anche in assenza di un matrimonio e con l’istituzione del divorzio breve, che ha ridotto il periodo della separazione a 6 mesi/1 anno. Le motivazioni di questo orientamento sono diverse. E vanno “dal rischio di condizionare il consenso allo scioglimento del matrimonio ad una prestazione patrimoniale, e di limitare la libertà di difesa dei coniugi nel futuro giudizio di separazione/divorzio. Al fatto che il diritto patrimoniale oggetto dell’accordo (mantenimento/assegno divorzile) non è ancora esistente nel patrimonio di colui che ne dispone”.
Common law vs legge italiana
Un altro argomento si fonda sulla disciplina della legge sul divorzio che regola la cosiddetta una tantum, ossia l’accordo con cui i coniugi stabiliscono che la corresponsione del mantenimento avvenga in un’unica soluzione. “E che deve avvenire contestualmente al divorzio e non precedentemente a esso, e, soprattutto, debba superare il vaglio di equità del Tribunale. Senza considerare che si porrebbero in contrasto con gli articoli 143 e 160 del Codice civile, e che ne individuano l’invalidità perché integrerebbero una inammissibile deroga ai doveri coniugali sorti dal matrimonio, in particolare all’obbligo di solidarietà economica”.
Dunque, i patti pre-matrimoniali strausati negli ordinamenti di common law (Stati americani e Gran Bretagna), non sono neppure previsti nell’ordinamento giuridico italiano. Tuttavia e paradossalmente i patti prematrimoniali validamente stipulati in uno Stato estero valgono anche in Italia. “La validità dei contratti prematrimoniali – i prenuptial agreements- è riconosciuta in Italia, non comportando sotto il profilo dell’ordine pubblico internazionale alcun tipo di ostacolo la loro esecuzione – conferma Di Nella – L’incremento dei matrimoni con cittadini stranieri, nonché il Regolamento n. 1259/2010 anche detto Roma III in tema di competenza giurisdizionale e legge applicabile alle cause transnazionali di separazione e divorzio che prevede l’attribuzione di un ruolo determinante all’accordo delle parti, sono tutti elementi che ci auguriamo possano aumentare sempre di più la discussione in merito alla validità anche in Italia di tali patti”.
I parametri minimi da cui non si può derogare
Che comunque, anche se venissero introdotti, dovrebbero rispettare certi parametri.
La dottrina e la giurisprudenza ricomprendono nella categoria due diverse tipologie di accordi preventivi: “la prima – spiega Di Nella – si identifica con gli accordi stipulati da due soggetti non ancora uniti in matrimonio che intendano predeterminare i reciproci rapporti patrimoniali derivanti da un’ipotetica crisi coniugale”.
La seconda tipologia ricomprende tutte quelle “intese” che sono stipulate fra due soggetti che abbiano già contratto matrimonio: “in tale caso l’accordo potrebbe essere stipulato sia al fine di regolamentare una crisi coniugale ancora eventuale, sia al fine di regolamentare gli effetti patrimoniali del probabile successivo scioglimento del vincolo matrimoniale, con la finalità di prevenire una lite giudiziaria per il divorzio”.
Ma in ogni caso l’oggetto deve riguardare esclusivamente la gestione patrimonio. “Principio fondamentale del nostro ordinamento è che la richiesta della separazione e del divorzio sia un diritto potestativo e individuale di ciascun coniuge – dice Di Nella – è vietato qualsiasi accordo secondo il quale un coniuge si impegna a favore dell’altro coniuge a mantenere lo status di coniuge, vale a dire a non domandare il divorzio. Del pari, è inammissibile la pattuizione di una clausola penale vale a dire la previsione a carico del coniuge che domandi la separazione o il divorzio, di una determinata prestazione patrimoniale a favore dell’altro coniuge dissenziente, in quanto la clausola penale indirettamente rafforzerebbe l’impegno illecito a non porre fine al rapporto matrimoniale”. Nessun patto può contenere, inoltre, derogare ai doveri fondamentali derivanti dal matrimonio, quali la fedeltà, l’obbligo di assistenza materiale e morale, di collaborazione e coabitazione così come non potrebbero derogare ai doveri nei confronti dei figli. Insomma, l’unico “spazio” che possono avere gli patti prematrimoniali, è quello della regolamentazione degli aspetti patrimoniali della crisi coniugale, “vale a dire la determinazione degli obblighi di mantenimento scaturenti dalla separazione, la divisione del patrimonio e la regolamentazione della successione ereditaria”.