Doppia residenza e tassazione dei redditi da stock option

Mara Palacino
Mara Palacino
8.2.2021
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Nella prassi dei gruppi multinazionali, l'assegnazione di stock option ricopre un ruolo di primo piano ma, ai fini di un corretto trattamento fiscale, è fondamentale soffermarsi sulle criticità che emergono in un contesto internazionale
L'articolo 51 del Tuir sancisce il principio generale dell'onnicomprensività stabilendo che “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. In base a tale principio anche i compensi derivanti da stock option rientrano in tale categoria e sono assoggettati a tassazione secondo le ordinarie aliquote Irpef progressive.
Non sempre però gli esiti fiscali sono scontati: in particolare per il trattamento applicabile alle azioni assegnate a lavoratori di gruppi multinazionali che, proprio in ragione delle mansioni assegnate e della mobilità globale dei medesimi, si spostano frequentemente da un Paese all'altro e molte volte trasferiscono la residenza fiscale in più Paesi durante la loro attività lavorativa.

In un contesto simile, per effetto del cambio di residenza fiscale a livello internazionale, sorgono problemi di potestà impositiva in quanto accade spesso che lo Stato in cui si perfeziona il vesting period (ovvero il periodo di maturazione del diritto legato alle stock option) è diverso dal Paese di esercizio dell'opzione. Qual è dunque il criterio che consente di ripartire correttamente la potestà impositiva tra i vari Paesi coinvolti e individuare il corretto regime fiscale applicabile a questo tipo di fringe benefit?

La risposta all'interpello n. 316/2020 aiuta a fare chiarezza sulla questione. Come sopra detto, i redditi derivanti da stock option sono annoverati tra i redditi di lavoro dipendente; chiaramente per un soggetto residente in Italia non sussistono particolari dubbi o incertezze circa il trattamento fiscale applicabile, ma per un soggetto non residente, come appunto il caso prospettato nell'interpello, è necessario rifarsi all'art. 23 Tuir (Applicazione dell'imposta ai non residenti), in base al quale si considerano prodotti in Italia quando l'attività lavorativa è ivi prestata.

La disciplina nazionale deve però essere armonizzata con le disposizioni internazionali che consentono di risolvere la questione attuando le norme convenzionali contenute nei trattati bilaterali contro la doppia imposizione, qualora presenti.

Nello specifico, l'articolo 15 del modello Ocse della Convenzione bilaterale relativo alle regole per il lavoro dipendente stabilisce il criterio di ripartizione della potestà impositiva tra Paesi contraenti: il reddito è imponibile nel Paese di residenza del lavoratore, salvo che l'attività sia svolta nell'altro Paese. Pertanto, una volta individuato il Paese dove si è svolta l'attività lavorativa durante il vesting period, quello sarà il Paese dove il reddito da stock option rileverà fiscalmente. Il commentario infatti chiarisce che a nulla rileva il periodo in cui il reddito derivante da stock option è corrisposto né quello in cui è tassato.

E cosa accade quando un lavoratore trasferisce la propria residenza fiscale da un Paese a un altro durante il vesting period? Ebbene, sempre il commentario al modello Ocse, richiamato anche nell'interpello n. 316/2020, suggerisce di individuare la parte di reddito tassabile in ciascun Paese, proporzionando il numero complessivo dei giorni durante i quali la prestazione è stata svolta in ogni Paese al numero di giorni di maturazione del vesting period, confermando pertanto il collegamento con il Paese in ragione del luogo di svolgimento dell'attività lavorativa.
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