Questa regola vale anche in campo internazionale, ovvero se un lavoratore italiano svolge la sua attività in un altro Stato, anche occasionalmente, deve versare i contributi nello stesso, a prescindere dal fatto di avere un datore di lavoro italiano.
Al fine di evitare frazionamenti o duplicazioni contributive ai lavoratori che spesso cambiano paese o svolgono un’attività internazionale sono stati stipulati appositi accordi bilaterali (es. Italia-Usa) o multilaterali (a livello Eu vige il Regolamento 883/04).
Tali accordi in generale prevedono, oltre a ribadire il principio di territorialità, quello dell’esclusività dell’obbligo contributivo: non si possono versare contributi contemporaneamente in più Paesi convenzionati per lo stesso periodo di lavoro.
Inoltre gli accordi prevedono la possibilità del “distacco”, ovvero di svolgere l’attività di lavoro in uno Stato diverso da quello abituale mantenendo i versamenti contributivi come se si fosse rimasti in quelli di provenienza. Tipicamente il distacco può durare fino a 24 mesi, oppure oltre in determinati casi, e viene certificato dal formulario A1 nei Paesi Eu.
Com’è noto, lo stato di emergenza creato della pandemia da Coronavirus ha sollecitato le autorità mondiali all’adozione di misure eccezionali, che limitano i movimenti dei lavoratori, consentendo spostamenti solo in casi di comprovata necessità. Molte società multinazionali hanno quindi introdotto, in via permanente, degli accordi di “smartworking” al fine di facilitare i lavoratori cross-border che sono rimasti “bloccati” causa coronavirus nel proprio Paese di origine e che quindi non si recano fisicamente a lavorare nel Paese di distacco.
Questi accordi, che comportano un cambio di sede di lavoro (in un altro Paese), possono portare, in principio, a situazioni in cui l’obbligo contributivo viene traslato in un altro Paese.
Al fine di evitare tali situazioni di incertezza, che rischiano di danneggiare l’integrità contributiva dei lavoratori ed esporre a sanzioni le aziende, molti Paesi membri dell’Eu hanno emanato delle direttive per le aziende e i lavoratori.
Ad esempio Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Danimarca hanno già chiarito ufficialmente che in relazione ai lavoratori cross-border che stanno lavorando da remoto non ci sono cambiamenti a livello di legislazione applicabile in materia di sicurezza sociale durante il periodo di emergenza dovuto ala pandemia da coronavirus.
Similmente, in Italia, con il messaggio 15 aprile 2020, n. 1633 l’Inps ha recepito i chiarimenti forniti dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali in merito alla determinazione della legislazione applicabile e alla validità delle certificazioni A1 già rilasciate ai lavoratori distaccati in Paesi Ue.
Pertanto, nell’ipotesi in cui il lavoratore distaccato fosse costretto a rimanere nel paese ospitante, la validità dei formulari A1 con scadenza tra il 31 gennaio e il 31 luglio 2020 deve ritenersi estesa fino al termine dello stato di emergenza fissato al 31 luglio 2020 (ora 15 ottobre).
Le medesime regole sono in principio applicabili ai lavoratori frontalieri (es esempio i lavoratori residenti in Italia alle dipendenze di datori di lavoro svizzeri che lavorano da remoto in Italia), similmente a quanto previsto in materia fiscale: tuttavia, al momento, non risultano da parte dell’Inps prese di posizioni ufficiali.
Al di fuori degli accordi europei, l’amministrazione statunitense (Ssa) ha chiarito che se un lavoratore distaccato ritorna negli Usa prima del termine il datore di lavoro può chiedere una modifica del certificato di copertura.
Al momento, il set di regole stabilito a livello comunitario e internazionale offre copertura legale e tranquillità alle aziende multinazionali e ai lavoratori; tuttavia è da evidenziare che queste regole sono dovute alla straordinarietà e soprattutto alla temporaneità dello stato di emergenza.
Sicuramente una ulteriore tematica da affrontare a breve a livello strategico da parte dei datori di lavoro che hanno adottato nuovi modelli organizzativi “permanenti” basati sul tele-lavoro, oltre a quella fiscale, sarà certamente quella previdenziale, in quanto le regole attuali non permettono di derogare al principio di “territorialità”, se non in casi eccezionali.