A indurre le pmi a includere i temi di sostenibilità nelle strategie aziendali e nei processi produttivi sono principalmente le richieste provenienti dai clienti (30%) ma anche da fornitori (18%), banche (13,5%) e investitori (4%)
Eppure, il 91% ammette di non conoscere il testo della Corporate sustainability reporting directive e l’86% si definisce “per niente informato” rispetto alla tassonomia europea delle attività economiche ecosostenibili
La sostenibilità guida le scelte strategiche e d’investimento di oltre il 45% delle piccole e medie imprese italiane, per le quali riveste un ruolo “importantissimo” o “molto importante”. Offrendo opportunità in termini reputazionali (per il 39%) ma anche di risparmio (36,5%). Eppure, rispetto ai livelli di conoscenza emergono significativi spazi di miglioramento: meno della metà delle aziende si dichiara consapevole del fatto che le banche stiano integrando all’interno delle proprie analisi del merito creditizio i fattori di sostenibilità. E solo il 17% ha usufruito di finanziamenti legati a progetti sostenibili.
Sono solo alcuni dei risultati della nuova ricerca Pmi italiane e transizione ecologica: profili Esg e finanza sostenibile condotta dal Forum per la finanza sostenibile in collaborazione con Cerved Group e Cerved Rating Agency e presentata in chiusura delle Settimane Sri. Realizzata con il sostegno di Eurizon Capital Sgr, EY, Generali Investments e Riello Investimenti Partners Sgr, esamina un campione di 415 imprese italiane con un fatturato compreso tra 2 e 50 milioni di euro e un numero di occupati compreso tra 10 e 250 addetti. Oltre il 45% delle rispondenti (principalmente le appartenenti al settore manifatturiero e delle utility), come anticipato in apertura, attribuisce un ruolo “importantissimo” o “molto importante” alla sostenibilità.
Cos’è la Tassonomia Ue? L’86% delle pmi non lo sa
A indurle a includere i temi di sostenibilità nelle strategie aziendali e nei processi produttivi sono principalmente le richieste provenienti dai clienti (30%) ma anche da fornitori (18%), banche (13,5%) e investitori (4%). A giocare il proprio ruolo è poi l’evoluzione normativa, la cui spinta viene considerata “rilevante” o “molto rilevante” dal 48% delle pmi. Eppure, il 91% ammette di non conoscere il testo della Corporate sustainability reporting directive (Csrd) e l’86% si definisce “per niente informato” rispetto alla tassonomia europea delle attività economiche ecosostenibili. “Bisogna sottolineare che solo una delle aziende intervistate rientrerà nel perimetro di applicazione della Csrd, ma è ragionevole aspettarsi che riceveranno sempre più richieste da fornitori, aziende clienti e istituti di credito in termini di dati e risultati su questo fronte”, osserva Arianna Lovera, senior programme officer del Forum per la finanza sostenibile.
Perché le pmi non investono nella sostenibilità
“Quanto alle opportunità e ai rischi connessi a una maggiore attenzione agli aspetti di sostenibilità, emerge un focus sui costi su entrambi i fronti”, interviene Lucia Pasquadibisceglie, Esg senior specialist del Gruppo Cerved. Dal punto di vista delle opportunità, il 36,5% cita i risparmi derivanti dai processi di efficientamento energetico, per esempio; parallelamente, spiega tuttavia Pasquadibisceglie, implementare “un profilo di sostenibilità si porta dietro anche un tema di costi di gestione” citati dal 42,5% delle intervistate insieme alle difficoltà burocratiche (32,5%) e alla necessità di adeguare e integrare le competenze interne (22%).
In questo contesto, il 62,5% delle pmi riconosce che il cambiamento climatico impatterà sul proprio business nel breve o nel lungo periodo; ma circa il 40% non è in grado di stimare il grado di esposizione ai rischi fisici (danni che possono derivare da un aumento della frequenza e dell’intensità dei fenomeni metereologici estremi) e di transizione (maggiori costi per allineare i processi produttivi agli standard di sostenibilità e adeguarsi alle nuove regole). “In ogni caso, il 10% delle società ha adottato misure di adattamento al cambiamento climatico, come la riduzione del consumo di risorse con una grande attenzione alla circolarità dei processi, l’efficienza energetica e la protezione degli edifici in zone considerate critiche”, continua Pasquadibisceglie.
Potenzialità della finanza sostenibile poco note
Sebbene quasi il 70% delle intervistate si rivolga abitualmente a istituti di credito, solo il 17% ha usufruito di finanziamenti legati a progetti sostenibili, principalmente pmi attive nel settore logistico (21%) e delle utility (40%). Inoltre, solo il 41,5% è a conoscenza del fatto che gli aspetti ambientali, sociali e di buona governance saranno integrati nelle analisi del merito di credito. E appena il 3% ha sperimentato l’utilizzo di strumenti finanziari diversi dal credito, come le emissioni di green bond o l’accesso a fondi di private equity o private debt. “L’accesso ai finanziamenti non viene citato tra le opportunità percepite”, commenta al proposito Rossella Zunino, financial services sustainability leader di EY. “Inoltre, solo il 7,5% delle pmi rende disponibili informazioni sulla sostenibilità, sulle proprie strategie e sulle iniziative a dipendenti e stakeholder esterni. Credo che l’evoluzione normativa avrà un impatto molto forte su di esse in questo senso”.
“Abbiamo notato un livello di sensibilità crescente nei confronti della sostenibilità rispetto agli anni precedenti, ma indubbiamente c’è ancora tanta strada da fare”, osserva Gian Franco Giannini Guazzugli, presidente del Forum per la finanza sostenibile. “L’ossatura economica di questo paese si poggia sull’apporto delle piccole e medie imprese, circa 153mila realtà che rappresentano il 19% dell’attività economica tricolore. Aiutarle a fare questo salto di qualità cedo sia determinante per il futuro del Paese”. E per la crescita delle aziende stesse. “Studi dimostrano come l’innovazione di processo e di prodotto in chiave sostenibile possa consentire loro di entrare in nuovi segmenti di mercato e rafforzarne la competitività”, spiega infatti Franco Panfili, vice capo dipartimento mercati e sistemi di pagamento di Banca d’Italia.
“È importante però che siano adeguatamente informate sulle politiche adottate a livello europeo e nazionale e sulle opportunità di finanziamento messe a disposizione dalla finanza sostenibile”, aggiunge Panfili. Poi conclude: “La convergenza verso un modello di crescita sostenibile comporta grandi sfide per tutti, in particolare per le pmi ma anche per il sistema finanziario. Sicuramente le aziende dovranno giocare un ruolo proattivo per attrarre risorse finanziarie e umane che consentano una just transition, una transizione socialmente equa verso un’economia a basse emissioni. La finanza, dal canto proprio, potrà dare sicuramente una risposta in termini di risorse ma necessita di informazioni. Il successo di questo processo dipenderà anche dalla capacità delle pmi di comunicare i risultati conseguiti”.