Sete di liquidità, continua a risuonare l'sos delle pmi

Rita Annunziata
24.8.2020
Tempo di lettura: 3'
La sete di liquidità delle pmi italiane non si arresta: secondo un'analisi di Unioncamere, circa 780mila aziende temono di non essere in grado di generare flussi di cassa utili a sostenere l'ordinaria operatività aziendale. E l'imprenditoria straniera non resta immune all'effetto-frenata

Si tratta principalmente di micro-imprese con una rosa di nove dipendenti al massimo

I settori più colpiti restano quelli legati alla ristorazione e alla filiera del turismo

Nel primo semestre del 2020 il saldo natalità-mortalità delle imprese straniere si è attestato a 6.119 unità, il 40% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno

Inaridito e assetato. Mentre i casi di coronavirus continuano a crescere lungo la Penisola, la crisi di domanda e il clima di incertezza sui tempi e le modalità di recupero mostrano l'immagine di un tessuto imprenditoriale italiano timoroso sul futuro. Sei imprese su dieci prevedono di avere problemi di liquidità nei prossimi sei mesi e c'è chi teme di non essere in grado di generare flussi di cassa utili a sostenere l'ordinaria operatività aziendale. In questo contesto, anche le aziende straniere non restano immuni all'impatto del covid-19, subendo invece un importante “effetto-frenata”.
Secondo un'analisi del Sistema informativo Excelsior condotta da Unioncamere in accordo con Anpal, la sete di liquidità nel post-covid potrebbe riguardare ben 780mila imprese, pari al 58,4% del totale, mentre circa 565mila aziende vedono innanzi a sé un futuro più roseo sul fronte finanziario. Si tratta principalmente di micro-imprese con una rosa di nove dipendenti al massimo, per le quali la quota di sfiduciate sale al 60,4%. Diversamente, nel caso di aziende con più di 250 occupati si parla del 44% e per quelle che hanno affrontato la pandemia con strategie avanzate e integrate di digitalizzazione o operando stabilmente sui mercati internazionali si arriva fino al 45 e al 48% rispettivamente.
I settori più colpiti restano quelli legati alla ristorazione e alla filiera del turismo (in questo caso si parla del 73,8%), ma anche i servizi alle persone, l'istruzione e la formazione privata. Dal punto di vista industriale, invece, il 68% delle aziende attive nel comparto della moda hanno segnalato problemi di liquidità, ma picchi superiori al 60% si registrano anche nel legno-arredo e nell'industria della carta. Sul fronte territoriale, i due terzi delle imprese del sud e delle isole registrano problemi di cassa, mentre nel centro e nel settentrione si parla rispettivamente del 60,3% e del 53-54%.

L'imprenditoria straniera in Italia


L'effetto-frenata generato dallo shock pandemico ha coinvolto anche le aziende di stranieri attive sul territorio italiano. Secondo uno studio di Unioncamere e InfoCamere, nel primo semestre del 2020 il saldo natalità-mortalità si è attestato a 6.119 unità, per una comunità complessiva di 621.367 imprese. Si tratta dell'1% in più rispetto alla fine dello scorso anno ma del 40% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019 quando si parlava di 10.205 aziende. La crescita ha riguardato principalmente la capitale, con 832 aziende in più tra gennaio e giugno, ma anche Milano (+515) e Torino (+499). Nel complesso, la patria della maggior parte delle imprese di stranieri è la Toscana, dove rappresentano il 14,2% del totale, seguita dalla Liguria (13,7%) e dalla Lombardia (12,6%). Le attività economiche che hanno origine fuori dall'Italia superano il 12% nel Lazio, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, mentre sono più del 10% in Veneto e in Piemonte.

In termini di settori, invece, la comunità di imprese straniere in Italia è dominata dalle aziende attive nel commercio (circa 160mila), nell'edilizia (120mila) e nella ristorazione (48mila). Se però si considerano in rapporto al totale delle imprese del Belpaese, fanno da traino le telecomunicazioni (32,9%) e la confezione di articoli di abbigliamento (fino al 32%). Spostando la lente di ingrandimento sulle sole imprese individuali, oltre 63mila attività registrano un titolare originario del Marocco. Corpose sono anche la comunità cinese con 52.727 imprese, quella romena (52.014) e quella albanese (34.020). Quanto alla componente marocchina, il 7,1% delle aziende ha sede a Torino, mentre Milano accoglie il 43,5% di tutte le aziende con titolare egiziano e Roma il 42,3% degli imprenditori provenienti dal Golfo del Bengala.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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