Agnes Jongerius: “Questa direttiva stabilisce gli standard per un salario minimo adeguato. Allo stesso tempo, stiamo dando un impulso alla contrattazione collettiva, in modo che un maggior numero di lavoratori sia maggiormente tutelato”
Per adeguare i salari minimi garantiti già esistenti, gli Stati membri dell’Unione europea potranno definire un paniere di beni e servizi a prezzi reali o fissarlo al 60% del salario mediano lordo e al 50% del salario medio lordo
Dopo il via libera della Commissione europea dello scorso giugno, anche il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva la nuova legislazione sul salario minimo. Con 505 favorevoli, 92 contrari e 44 astensioni, la direttiva punta a “dare un impulso alla contrattazione collettiva” e a tutelare il “maggior numero di lavoratori”, nelle parole della correlatrice Agnes Jongerius intervenuta a margine del voto. E potrebbe comportare, solo per le imprese italiane, un aumento del costo del lavoro di 12 miliardi di euro annui.
Salario minimo: cosa prevede la nuova direttiva Ue
Come dichiarato in una nota ufficiale del Parlamento nella giornata del 14 settembre, le nuove regole intendono “migliorare le condizioni di vita e di lavoro di tutti i lavoratori dell’Unione europea e promuovere progressi in ambito economico e sociale”. Non viene fissato un tetto minimo a livello comunitario, ma vengono piuttosto delineati quei requisiti essenziali a garantire l’adeguatezza dei salari minimi garantiti. A ricadere sotto l’ombrello della direttiva europea sarebbero tutti i lavoratori dell’Unione con un contratto o un rapporto di lavoro.
Resta dunque nelle mani dei singoli Stati membri la definizione del salario minimo, purché prendano in considerazione costo della vita e livelli retributivi. Nel dettaglio, per adeguare i salari minimi garantiti già esistenti, i paesi potranno definire un paniere di beni e servizi a prezzi reali o fissarlo al 60% del salario mediano lordo e al 50% del salario medio lordo. La legislazione, come anticipato in apertura nelle parole di Jongerius, promuove inoltre la contrattazione collettiva a livello settoriale e interprofessionale. Di conseguenza, i paesi all’interno dei quali meno dell’80% dei lavoratori rientrano nel perimetro della contrattazione collettiva saranno tenuti a fissare uno specifico piano d’azione. Inoltre, tutti gli Stati membri dovranno definire un sistema di monitoraggio, con controlli e ispezioni sul campo.
Quanto costa alle imprese italiane il salario minimo
Stando agli ultimi dati Eurostat, 21 dei 27 paesi membri dell’Unione europea prevedono un salario minimo garantito. Gli altri sei (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia) definiscono i livelli salariali sulla base delle contrattazioni collettive. Restando sull’Italia, secondo una recente indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro visionata da Ipsoa, l’introduzione di un salario minimo per legge costerebbe alle imprese 12 miliardi di euro all’anno. Si parlerebbe di un incremento del costo del lavoro del 20%. Questo perché i lavoratori con un salario sotto la soglia di 9 euro lordi l’ora, che sarebbero eventualmente coinvolti, raggiungono quota 4 milioni. Ricordiamo che la direttiva europea dovrà essere approvata formalmente dal Consiglio, prima che il testo venga pubblicato in Gazzetta ufficiale. Solo dopo, gli Stati membri avranno a disposizione due anni di tempo per recepire le nuove regole.