Pmi: i vantaggi dell'asse Roma-Pechino (malgrado la crisi)

Rita Annunziata
2.3.2021
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Sebbene la crisi pandemica abbia determinato per poco meno di un terzo delle imprese tricolori attive nell'ex Celeste Impero un calo del fatturato superiore al 20%, l'asse Roma-Pechino riserva ancora delle opportunità. Quasi la metà si attende una crescita nel 2021

Per il 32% delle pmi italiane l'internazionalizzazione verso la Cina avviene nella forma della commercializzazione di prodotti e servizi, mentre per il 24% nella produzione per conto terzi o tramite strutture preesistenti

Il 18% dichiara di aver riportato nell'anno della crisi valori stabili in termini di fatturato e il 20% di aver registrato addirittura un incremento. Poco meno di un terzo, invece, ha registrato un calo superiore al 20%

Boselli: “Pechino sarà senza dubbio un attore ancora più importante per le imprese, a partire proprio da quelle piccole, in considerazione di risultati economici significativamente migliori di quelli del resto del mondo e di prospettive simili per il 2021”

Secondo un'indagine della Fondazione Italia Cina, le piccole e medie imprese basate nell'ex Celeste Impero valgono oggi il 60% del prodotto interno lordo e l'80% dell'occupazione urbana. In questo contesto, stando agli ultimi dati dell'Istituto nazionale di statistica, le tricolori che esportano in Asia orientale sono oltre 38mila, per un interscambio commerciale pari a 81,2 miliardi di euro. Ma in che modo si delinea la loro presenza nella Terra del Dragone, nell'attuale quadro pandemico, e quali vantaggi potrebbero cogliere dall'asse Roma-Pechino?

Il campione analizzato


L'indagine ha coinvolto i più alti responsabili a livello generale o a livello di gestione delle operazioni in Cina di 180 pmi italiane, di cui il 39,6% con sede in Lombardia e una quota compresa tra l'11 e il 14% presente in Toscana, Emilia-Romagna e Veneto. Nel 92,6% dei casi, inoltre, si tratta di aziende di proprietà interamente italiana, con quote residuali di partecipazione o di maggioranza cinese o estera. I settori maggiormente rappresentati solo il tessile e la meccanica, ma anche l'alimentare, i beni di lusso e la logistica, tra gli altri.

Entrando nel dettaglio delle relazioni con Pechino, per il 32% delle rispondenti l'internazionalizzazione verso la Cina avviene nella forma della commercializzazione di prodotti e servizi, per il 24% nella produzione per conto terzi o tramite strutture preesistenti, per il 21% nell'apertura di un ufficio operativo e per il 22% nell'appoggio su fornitori esteri. Tra coloro che dichiarano di possedere stabilimenti o uffici di rappresentanza nel Paese, il 40% si trova a Shanghai, l'11,8% nel Jiangsu e nel Guangdong e il 10,1% a Beijing.

La presenza in Cina


Oltre il 76% del campione considera la Cina come “mercato di sbocco”, il 12,2% come “sede produttiva delocalizzata” e l'11,45% come “hub regionale”. E, sulla stessa linea d'onda, le ragioni che spingerebbero le rispondenti ad approdare nella Terra del Dragone sono principalmente lo sviluppo di nuovi mercati di sbocco (che ottiene una valutazione superiore a 4, in una scala da 1 a 5, nell'84% delle risposte), il basso costo del lavoro (65% di risposte inferiori a 2), la disponibilità di materie prime (69%), i vantaggi fiscali (79%), i minori vincoli di natura ambientale (88%) e i minori vincoli per i diritti dei lavoratori (92%).
Quanto invece alle problematicità riscontrate nell'accesso al mercato cinese, si evidenziano la violazione dei diritti di proprietà intellettuale, le differenze linguistiche e culturali e la difficoltà di individuare partner locali appropriati. Meno pregnanti, invece, le questioni relative alla corruzione e alla gestione della forza lavoro manageriale e non-manageriale. Malgrado ciò, le imprese del campione esprimono una valutazione molto positiva della loro presenza nel Paese nel 43,2% dei casi, “a fronte di una stessa considerazione per l'estero del 34,14%”, precisano i ricercatori. Di conseguenza, la Cina rappresenta il primo mercato fra le economie emergenti per il 42% delle rispondenti, seguita dalla Russia (10,8%) e da Asean e Vietnam (9,4%).

Le opportunità della crescita cinese


Nel valutare le azioni da intraprendere per cogliere le opportunità derivanti dalla crescita cinese, la politica maggiormente citata è quella dell'incremento della competitività del sistema italiano (un terzo dei consensi), ma anche l'esigenza di stringere accordi con Pechino per la libera circolazione delle merci (un quinto delle preferenze) e la richiesta di imporre vincoli qualitativi ai prodotti cinesi in circolazione nell'Unione europea (con valori analoghi). Certo, le imprese tricolori non mancano di volgere lo sguardo anche sulle ricadute della crisi, avendo dovuto affrontare in molti casi una chiusura degli impianti ma anche l'interruzione delle linee di fornitura. Complessivamente, il 18,82% dichiara tuttavia di aver riportato valori stabili in termini di fatturato e il 20% di aver registrato addirittura un incremento. Considerando l'anno in corso, invece, il 25% si attende ricavi stabili, poco meno del 45% prevede una crescita e il 30% un ulteriore calo.
“L'attenzione della Fondazione Italia Cina è massima nei confronti del tessuto imprenditoriale nazionale che dovrà superare l'ostacolo della crisi pandemica, dovendo inevitabilmente considerare la Cina come partner di riferimento della ripresa”, interviene Mario Boselli, presidente della fondazione. “Pechino, infatti, sarà senza dubbio un attore ancora più importante per le imprese, a partire proprio da quelle piccole, in considerazione di risultati economici significativamente migliori di quelli del resto del mondo e di prospettive che si annunciano simili nel 2021”, aggiunge.

Quest'anno, conclude, “sarà un anno di svolta per lo stato di salute di molti operatori economici e per le opportunità da cogliere nel rinnovato contesto di una Cina che promuove i consumi interni e favorisce le relazioni internazionali. Conoscere le caratteristiche delle pmi, ovvero di quelli che spesso sono i principali protagonisti delle relazioni economiche tra Italia e Cina, e ascoltarne la voce è un esercizio fondamentale per il successo degli scambi commerciali”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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