Liquidità, Bankitalia: l'azione del governo mette in salvo 42mila pmi

Rita Annunziata
16.11.2020
Tempo di lettura: 3'
Una significativa quota di società di capitali italiane registrerà nel 2020 un fabbisogno di liquidità e un deficit patrimoniale. Ma, secondo un'analisi di Bankitalia, le misure dispiegate dal governo hanno contribuito a contenere gli effetti negativi della pandemia. Ecco come

Grazie alle misure di sostegno varate dal governo tra marzo e agosto circa 42mila imprese potrebbero soddisfare il proprio fabbisogno di liquidità

Al primo posto in termini di contrazione del fatturato si posizionano i settori dell’alloggio e della ristorazione, seguiti dalle attività artistiche e di intrattenimento

Nell’ipotesi di un accesso al credito con garanzia statale, la probabilità di insolvenza crescerebbe di circa 0,6 punti percentuali, scivolando dal 2,4 al 3%

La recessione innescata dalla pandemia ha accresciuto in misura significativa la quota di società di capitali tricolori che nel corso dell'anno hanno registrato un fabbisogno di liquidità e un deficit patrimoniale. Eppure, secondo un'analisi di Bankitalia condotta su circa 730mila imprese in coerenza con le stime su un crollo del prodotto interno lordo del 9,5% nel 2020, le principali misure di sostegno dispiegate dal governo Conte tra marzo e agosto hanno contribuito a contenere, pur non eliminando, gli effetti negativi della crisi sul tessuto imprenditoriale nazionale.

Liquidità: 142mila imprese a rischio


La metodologia di stima, precisa la banca centrale, si basa sulla proiezione dei flussi di cassa e dei profitti nel 2020, prendendo in considerazione le misure introdotte dai decreti “cura Italia”, “liquidità”, “rilancio” e “agosto”, come l'estensione della Cassa integrazione, il differimento degli oneri tributari, la moratoria sui prestiti, la garanzia pubblica sui finanziamenti e i trasferimenti a fondo perduto. Quello che è emerso è che, qualora tali sostegni non fossero stati dispiegati, il crollo del fatturato avrebbe generato un fabbisogno di liquidità complessivo di circa 48 miliardi per 142mila imprese, pari al 19% del totale del campione, ma anche una contrazione degli utili che “avrebbe reso sotto-patrimonializzate circa 100mila imprese” (il 13,9% del totale).
Grazie alle misure, invece, circa 42mila imprese potrebbero soddisfare il proprio fabbisogno di liquidità, “mentre quello delle rimanenti 100mila si ridurrebbe a circa 33 miliardi”, spiega Bankitalia. Inoltre, le aziende potenzialmente sottocapitalizzate scivolano a 88mila. In questo contesto, 55mila imprese potrebbero ancora soddisfare il fabbisogno di liquidità tramite il ricorso al credito, contraendolo così in aggregato a circa 28 miliardi. Per non dimenticare poi i prestiti garantiti, che potrebbero ridurre ulteriormente il fabbisogno complessivo a 17 miliardi per circa 32mila società.

L'effetto sulla patrimonializzazione


Per quanto riguarda invece gli effetti della crisi epidemiologica sulla patrimonializzazione, secondo lo studio una mancata azione di governo avrebbe spinto verso lo stato di crisi 101mila imprese entro la fine dell'anno, con un deficit di 28 miliardi. Al contrario, le misure dispiegate hanno permesso di contrarre il campione a 88mila, pari al 12% del totale, per 27 miliardi di deficit patrimoniale. Inoltre, precisa Bankitalia, “quasi il 90% delle imprese che escono dallo stato di crisi grazie alle misure vi si trovava a causa dell'epidemia”. Anche in assenza del covid-19, infatti, 70mila aziende si stavano incamminando verso questa condizione, con un deficit di patrimonio di 23 miliardi. “La lettura congiunta di questi valori – si legge nello studio – indica che le misure adottate si sono concentrate sulle imprese più colpite dalla pandemia, le quali però avevano nel complesso necessità patrimoniali minori rispetto alle imprese che si sarebbero trovate comunque in stato di crisi. Ciononostante, tali misure non sarebbero sufficienti a riportare il numero delle imprese in situazione di insufficienza patrimoniale (e l'importo di tale deficit) al di sotto del livello che si sarebbe registrato in assenza della pandemia”.

Crollo del fatturato: primi alloggio e ristorazione


Al primo posto in termini di contrazione del fatturato, intanto, si posizionano i settori dell'alloggio e della ristorazione, ma anche le attività artistiche e di intrattenimento, l'energia, l'immobiliare e l'industria alimentare e tessile. Secondo lo studio, la redditività operativa, misurata dal rapporto tra margine operativo lordo e ricavi, potrebbe ridursi di oltre 1,7 punti percentuali. La redditività netta, invece, definita dal return on equity (roe), “si collocherà al 2,5%, quasi cinque punti percentuali al di sotto del valore del 2018”, spiega Bankitalia. La perdita economica attesa per la ristorazione è dunque di due miliardi, seguita dall'alberghiero con 1,7 miliardi e dalle agenzie di viaggio e tour operator con ulteriori 1,7 miliardi.
Ma il crollo della redditività e l'impennata dell'indebitamento si tradurebbe anche in un peggioramento del merito creditizio delle imprese. Secondo la banca centrale, nell'ipotesi di un accesso al credito con garanzia statale, la probabilità di insolvenza crescerebbe di circa 0,6 punti percentuali, scivolando dal 2,4 al 3%, senza considerare le 13mila imprese che “non riuscirebbero a coprire il fabbisogno di liquidità e per le quali la probabilità di default sarebbe pari a uno”. Se si considera invece l'accesso al credito incondizionato, tale probabilità potrebbe salire al 4,4%, quasi un punto percentuale in più rispetto al tasso atteso nel pre-covid. In entrambi gli scenari, i settori più colpiti sarebbero quelli dell'alloggio e della ristorazione, ma anche le attività artistiche e l'intrattenimento. Per non dimenticare l'immobiliare.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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