Open innovation: in autonomia o con il supporto di un abilitatore? Ecco come scelgono i Cio
Gli aspetti che pesano maggiormente sulla scelta dell’intermediario più adatto
Quali sono gli aspetti più importanti che i Chief innovation officer (Cio) prendono in considerazione quando devono scegliere tra fare open innovation in autonomia (quindi lavorare direttamente con le startup) o selezionare un abilitatore che le supporti? E nel secondo caso, come scegliere l’intermediario più adatto?
Un nuovo studio della IESE Business School, con il contributo di Gellify e Acciona ha cercato di rispondere a questi interrogativi intervistando oltre 90 Cio internazionali. Il report, intitolato Open Innovation: Improving Your Capability, Deal Flow, Cost and Speed With a Corporate Venturing Ecosystem (si può vedere qui), si focalizza su come le aziende consolidate possono accrescere competenze ed efficacia, anche in termini di ricavi e nuovi business, collaborando con gli imprenditori in un mercato estremamente volatile.
Le sfide dell’open innovation
Con la forte crescita del corporate venturing – la collaborazione tra aziende e startup per cercare innovazione attingendo alle realtà esterne più interessanti – le aziende già consolidate stanno facendo sempre più fatica a battere la concorrenza nello scovare e attirare i migliori imprenditori e le startup più innovative. Inoltre, l’intensificarsi della volatilità sui mercati globali ha introdotto un’ulteriore pressione nei team di corporate venturing interni alle aziende, da parte delle business unit aziendali in cerca di previsioni di mercato più robuste e nuovi flussi di ricavi.
Una soluzione promettente
Per affrontare queste sfide, una strada sempre più battuta da parte delle aziende è quella di integrare la propria attività interna con il supporto di un abilitatore di corporate venturing. Si tratta di un agente di innovazione, esterno alla struttura aziendale, che facilita la collaborazione con una startup: gli abilitatori possono essere aziende di consulenza, acceleratori privati, centri di ricerca, ambasciate o anche altre aziende corporate.
Analizzando le risposte dei Cio, dalla ricerca è emerso che, in media, gli aspetti che le aziende valutano più frequentemente nel decidere se lavorare con le startup direttamente o con il supporto di un abilitatore, sono: la vicinanza della startup al core business dell’azienda (nel 26% dei casi), la capacità interna di lavorare con imprenditori (24%) l’accesso ad opportunità selezionate (17%) e i costi di implementazione (11%).
Open innovation: in autonomia o con il supporto di un abilitatore?
Guardando allo step successivo, una volta che un’azienda decide di rivolgersi ad un abilitatore, le caratteristiche prese in considerazione più frequentemente nella scelta del miglior abilitatore sono, per citarne alcuni, la capacità di lavorare con gli imprenditori (nel 38% dei casi), l’esistenza di un ecosistema di stakeholder selezionati per facilitare la collaborazione tra azienda e startup (15%), la conoscenza del settore o della tecnologia esplorata (12%).
La scelta tra 2 (o più) abilitatori
Le implicazioni per le aziende e per gli abilitatosi
Dal momento che sempre più aziende lavorano con le startup, offrendo benefici simili agli imprenditori, fare squadra con gli abilitatori può migliorare la loro value proposition, accrescendone il valore. Inoltre, collaborando con gli abilitatosi le aziende possono ridurre i costi dell’innovazione condividendoli con altri attori, aumentare il deal slow e diventare abili nell’intercettare in anticipo le opportunità. Dall’altro lato, alla luce del fatto che nel 38% dei casi analizzati, la capacità di lavorare con gli imprenditori è l’aspetto più importante per le aziende nello scegliere a quale intermediario rivolgersi, i cosiddetti ‘broker dell’innovazione dovrebbero concentrarsi meno sull’apparenza e più sullo sviluppo di processi comprovati.
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