Secondo i dati del Centro studi Confindustria, nel 2020 solo per il manifatturiero si parla di una perdita di fatturato di 144 miliardi di euro, pari al -14,5%
Un calo che si riflette in una flessione meno marcata degli acquisti di beni e servizi e del costo del personale, motivo per cui il cashflow risulta crollato a -4,3 miliardi
L’organizzazione: “Sostenere la crescita dimensionale delle aziende e il riequilibrio della loro struttura finanziaria attraverso una più ampia diversificazione delle fonti”
Sulla spinta dei prestiti emergenziali con garanzie pubbliche, che hanno sfiorato ad oggi i 150 miliardi di euro, il credito bancario alle imprese tricolori ha registrato lo scorso anno un boost del +7,4% (stando ai dati di ottobre). Uno strumento che, nei mesi più caldi della pandemia, ha concesso loro di arginare la crisi di liquidità ma che, stando agli esperti, in molti settori ha finito parallelamente per accrescere fin troppo il peso del debito.
Secondo l’ultima analisi del Centro studi Confindustria, nel 2020 solo per il manifatturiero si parla di una perdita di fatturato di 144 miliardi di euro, pari al -14,5%. Un crollo che “si riflette in una flessione meno marcata degli acquisti di beni e servizi e del costo del personale”, spiegano i ricercatori, motivo per cui il cashflow (ricavi meno costi operativi correnti, ndr) risulta pari a -4,3 miliardi contro gli 81 miliardi del 2019. Diversa la situazione per settori: l’alimentare e il farmaceutico, per esempio, non hanno sofferto un calo del flusso di risorse interne registrando un cashflow positivo rispettivamente per 10,1 miliardi e per 3,2 miliardi, mentre sul versante opposto si posizionano le industrie tessili (-0,8 miliardi), gli articoli di abbigliamento (-1,1 miliardi), gli articoli in pelle e simili (-1,4 miliardi), la raffinazione del petrolio (-0,8 miliardi), la metallurgia (-6,8 miliardi), computer, prodotti di elettronica e ottica (-0,1 miliardi), le apparecchiature elettriche e non (-0,7 miliardi), i macchinari e le apparecchiature nca (-3,2 miliardi), gli autoveicoli, i rimorchi e i semirimorchi (-10,2 miliardi) e altri mezzi di trasporto (-0,5 miliardi). Anche nei servizi la riduzione del cashflow stimata risulta rilevante, da 162,5 miliardi del 2019 a 32,8 miliardi nel 2020. In questo caso, spiccano i settori del commercio all’ingrosso e al dettaglio e la riparazione di autoveicoli con -9,4 miliardi, ma anche le attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (-10,5 miliardi), e il noleggio, le agenzie di viaggio e i servizi alle imprese (-2,1 miliardi).
Di conseguenza, si legge nello studio, “il peso del debito è cresciuto in misura marcata in molti settori rispetto al 2019” e “parimenti, è cresciuto l’onore per interessi (a 4,2 miliardi di euro)”. La situazione debitoria risulta peggiorata anche nell’alimentare e nel chimico-farmaceutico, restando tuttavia più contenuta rispetto alla media (si parla rispettivamente di 2,9 e di 3,8 anni di cashflow). “Viceversa, all’altro estremo, nei settori industriali in cui il cash flow è diventato negativo, non è possibile (aritmeticamente) neanche calcolare quanti anni di risorse generate internamente servirebbero a estinguere il debito”, spiegano i ricercatori, che avvertono: “Se protratta nel tempo, una situazione del genere rischierebbe di rendere
il debito insostenibile per le imprese”. Nel settore dei servizi, per esempio, il debito risulta insostenibile per il commercio, l’
alloggio e la ristorazione, oltre al noleggio e ai servizi alle imprese, mentre contengono i danni i settori dell’informazione e della comunicazione e le attività professionali-scientifiche.
Nel 2021 situazione ancora tesa sul fronte del cash flow
E le stime non sembrano migliorare nemmeno con riferimento al 2021. Secondo Confindustria, infatti, la situazione resterà tesa anche nel nuovo anno, seppur meno critica rispetto al 2020. Il fatturato industriale, in particolare, potrebbe risalire del +9,8% (contro il -14,5% del 2020), uno scenario in cui il cash flow tornerebbe positivo a 42 miliardi. Tuttavia, si legge nello studio, “rispetto al 2019 l’indebitamento resterebbe molto più pesante nel 2021, sia perché il debito è più alto (l’ipotesi prudente è che resti al livello del 2020), sia perché il cash flow è più basso”. Lo stesso vale per i servizi per i quali, nonostante il recupero del fatturato atteso del +8% (contro il -13,2% del 2020), “il peso del debito resterebbe notevole: quasi quattro anni, da meno di due anni nel pre-crisi”.
Confindustria: allungare il periodo di rimborso dei debiti
Tenendo conto di questo panorama, secondo il Centro studi Confindustria per allentare le tensioni finanziarie subite dalle imprese tricolori bisognerebbe innanzitutto allungare il periodo di rimborso dei debiti di emergenza contratti nel 2020. Inoltre, sarebbe necessario “sostenere la crescita dimensionale delle aziende e il riequilibrio della loro struttura finanziaria attraverso una più ampia diversificazione delle fonti e una maggiore patrimonializzazione”, in modo tale da aiutarle a “svilupparsi, innovare e competere sui mercati internazionali”. Resta dunque da attenzionare il settore delle pmi e delle midcap con una strategia che “combini interventi di natura fiscale, semplificazioni regolamentari e altre misure volte a favorirne l’accesso a fonti finanziare alternative”. In questi termini, concludono i ricercatori, “gli interventi sin qui messi a punto dal governo attraverso i provvedimenti varati nel 2020 e quelli prospettati nella manovra di bilancio appaiono ancora incompleti e si prestano a essere ulteriormente rafforzati. Una questione di natura strutturale che dovrebbe essere affrontata nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
Secondo i dati del Centro studi Confindustria, nel 2020 solo per il manifatturiero si parla di una perdita di fatturato di 144 miliardi di euro, pari al -14,5%Un calo che si riflette in una flessione meno marcata degli acquisti di beni e servizi e del costo del personale, motivo per cui il cashflow …